Intorno al libro

Muoversi nello spazio senza chiedere permesso

“Lo sviluppo femminile può essere definito una frustrazione permanente” scrive Elena Gianini Belotti nel 1973 nel suo Dalla parte delle bambine, saggio nel quale riporta i risultati dei suoi studi sugli effetti della socializzazione al genere delle bambine e dei bambini. Nello stesso paragrafo, poco prima Gianini Belotti osserva che:

La bambina vivace, creativa, piena di energie, quando si misura nei giochi di forza con i maschi prova sempre un sottile senso di disagio e di colpa; oscuramente sa di non essere approvata, di deludere le aspettative altrui, ha sempre davanti agli occhi il modello della bambina che non riuscirà mai a essere. Nessuno si rallegrerà che lei sia combattiva, coraggiosa, leale, indipendente; preferiranno che sia docile, conformista, pavida e ipocrita, salvo poi rimproverarglielo.

È da qui che siamo partite durante l’incontro con Alessandra Chiricosta, filosofa, esperta di Studi di Genere e insegnante di Autocoscienza Combattente Femminista: da quel “modello della bambina” che ha forgiato molte delle nostre esistenze di ragazze e di donne, e che ancora oggi condiziona il modo in cui stiamo al mondo e occupiamo lo spazio che ci circonda.

I modelli di genere nell’infanzia

È proprio all’infanzia che dobbiamo guardare se vogliamo comprendere le diverse possibilità alle quali donne e uomini – per adottare una prospettiva binaria semplicistica ma qui utile al discorso – hanno accesso in campo relazionale, sociale e lavorativo.

Il merito di Gianini Belotti sta proprio nel mostrare come l’educazione al genere cominci molto presto, ben prima che bambine e bambini abbiano la consapevolezza di essere educate ed educati a ricoprire un ruolo all’interno della società: è infatti celata nei modi diversi in cui il mondo adulto si comporta in presenza di una neonata o di un neonato, nei diversi giochi che vengono concessi a fratelli e sorelle e, ancora, nelle regole spesso disequilibrate che vengono loro imposte nei contesti di socializzazione primaria e secondaria; è in queste fasi della crescita di bambine e bambini che vengono loro trasmesse tutte quelle aspettative – esplicite e implicite – che la società ha nei loro confronti e che forgeranno l’adulto o l’adulta futuri.

Gli effetti della socializzazione di bambine e bambini

Da oltre trent’anni, Chiricosta studia arti marziali orientali e negli ultimi anni si è concentrata sulla loro applicazione nei percorsi di ripresa dal trauma di una violenza sessuale; durante questi percorsi ha rilevato che quei modelli di genere, quelle aspettative assorbite nell’infanzia possono influenzare enormemente la nostra capacità e la nostra prontezza davanti a una situazione di pericolo o violenza, sia essa fisica o verbale. 

È in quella frustrazione permanente, nella limitazione del movimento, del gioco, della spontaneità delle bambine che Chiricosta, appoggiandosi a studi di neurobiologia e di psicologia, individua una delle ragioni per cui molte donne, davanti a una situazione di minaccia, non reagiscono con il naturale schema del “fight or flight”, del combattere o fuggire, ma si trovano invece bloccate in una situazione di “freeze”, di paralisi data dall’incapacità – o meglio inesperienza indotta – di gestire la situazione di pericolo.

Tutti i mammiferi, uomo compreso, attraversano nell’infanzia una fase di addestramento ludico, utile a sviluppare e affinare capacità necessarie alla vita adulta: la lotta, il nascondino, la rincorsa, sono solo alcuni dei giochi che ritroviamo in quasi tutte le specie animali e che costituiscono un terreno di prova per conoscere sé stessi e l’altro, per misurarsi e prendere le misure dell’altro.

Le risposte al pericolo sono diverse per uomini e donne

Nel momento in cui alle bambine, per cultura, viene impedito di mettersi alla prova con i bambini perché devono aderire al modello prescritto, salta un passaggio chiave del loro sviluppo psicofisico: alla conoscenza del proprio corpo, dei propri limiti e delle proprie possibilità si sostituiscono il timore, la paura e l’ansia generati dall’impossibilità di conoscere sé stesse; alla libertà di movimento e alla spontaneità si sostituisce la “docilità” che Gianini Belotti ritiene l’elemento chiave della socializzazione femminile.

Dove ai bambini è concesso esplorare lo spazio, prendere confidenza con il mondo, allargarsi e conquistare, alle bambine viene infatti imposto il contegno, il trattenersi, l’accondiscendere e accontentare. Effetto visibile di questo sbilanciamento educativo è il modo in cui donne e uomini siedono nei luoghi pubblici: le prime contenute, a gambe incrociate, timorose di allargarsi troppo; i secondi in perenne espansione, giustificata facendo ricorso a una biologia che però prescriverebbe proprio il contrario: maggiore rotazione per i corpi dotati di utero, progettati biologicamente per espandersi nello spazio, per aprirsi anziché chiudersi in sé stessi come invece viene prescritto dall’educazione al genere.

La conseguenza diretta di questa costrizione sociale, ci dice Chiricosta, è una minore capacità delle bambine di gestire le risorse del proprio corpo, ad esempio nello sport, che poi può sfociare in una minore capacità delle donne di sottrarsi a situazioni di pericolo nelle quali la risposta naturale è un aumento di adrenalina che il corpo femminile è incapace – spesso per mancanza di addestramento – di utilizzare per difendersi.

Pratiche di Autocoscienza Combattente Femminista

Da queste constatazioni di ineguaglianza educativa nasce l’applicazione delle tecniche di Autocoscienza Combattente Femminista (ACF) ai percorsi di ripresa dal trauma. Come si legge dal sito di Chiricosta: 

L’Autocoscienza Combattente/Empowering Self Defense si pone come obiettivo di liberare i corpi femminili e femminilizzati, le soggettività non binarie e quelle maschili che non si riconoscono nei modelli di mascolinità dominante dal senso di inferiorizzazione che preclude una risposta efficace alla violenza machista, sia essa verbale, psicologica, fisica, economica, relazionale, sociale e culturale.

Nei suoi incontri, Chiricosta aiuta le donne a riscoprire la connessione con il proprio corpo e a rimettersi in contatto con le sue potenzialità e possibilità, partendo dall’insegnare loro a riprendersi lo spazio: l’educazione all’autocontenimento viene vinta con l’atto gioioso e liberatorio di riscoprirsi aperte, spaziose; in cerchio, si misurano insieme voce e corpo, si urla e ci si espande, si sfidano le imposizioni educative per reclamare ciò che è stato sottratto da bambine: la felicità di sentirsi parte del proprio corpo, incarnate e forti, non più docili e sottomesse.

L’obiettivo è anche quello della difesa, ma intesa in senso più ampio e profondo di quanto venga normalmente concepito nei corsi di autodifesa tradizionale:

Difendersi dalla violenza non vuol dire solo resistere alle aggressioni, ma minare alla base i dispositivi che inferiorizzano i corpi-mente in base a genere, età, etnicità, abilità, classe sociale, specie. Il senso di impotenza che spesso blocca la capacità di dire di “no”, di affermare se stesse, le proprie idee con la voce e con il corpo, realizzare i propri progetti non deriva da una propria inettitudine, ma da precisi dispositivi culturali, sociali e politici che impattano sui corpi così come sulle menti e sulle emozioni: comprenderli e sfidarli è un percorso di liberazione e di empowerment.

Non si tratta quindi solo di “ limitare i danni”, ma di riacquisire la propria centratura, la capacità di definire il proprio spazio-tempo, muoversi liberamente in esso e trasformarlo per renderlo abitabile per tutte e tutti.

Un’esperienza di (re)incarnazione gioiosa

Aver avuto l’opportunità di provare di persona alcune pratiche di Autocoscienza Combattente Femminista durante l’ultimo incontro del corso di perfezionamento “Il genere nella scuola e nei percorsi educanti” mi ha dato la possibilità di constatare quanto il mio corpo fatichi, al principio, a reclamare lo spazio che dovrebbe occupare; ma anche quanto naturale e gioioso sia lasciarsi guidare verso la (ri)scoperta delle proprie capacità e possibilità, e verso la liberazione del corpo dalle costrizione alle quali è stato sottoposto, in quanto corpo femminile, per tutta la vita.

I percorsi di Autocoscienza Combattente partono dal corpo, territorio da rivendicare e da sottrarre al giogo del patriarcato che ci vorrebbe docili e sottomesse, e dall’ascolto delle proprie ferite, con l’obiettivo di sviluppare una “forza non oppressiva, ma efficace e capace proprio perché non dimentica accoglimento ed empatia”. Un altro genere di forza, come la definisce Chiricosta, da esplorare con l’obiettivo di “superare lo stato di paura che inibisce spesso le nostre azioni e le nostre voci” e di sviluppare “il piacere e la gioia di riscoprirsi ‘non seconde’, ma complete e autodeterminate, nel corpo e nella mente”.

Un’esperienza che tutte le soggettività marginalizzate, anche in virtù dell’assunto patriarcale che la forza debba essere violenza, dovrebbero provare per riscoprire un nuovo genere di forza: costruttiva e non distruttiva, collettiva e non dominante, gioiosa e non opprimente.

Un’esperienza fortemente soggettiva e proprio per questo capace di scardinare quel sistema di oppressione interiorizzata che fa proprio dell’oggettività il suo strumento di dominio; citando Ursula K.Le Guin:

La gente smania per l’oggettività perché essere soggettivi significa essere incarnati, farsi corpo, vulnerabili, violabili. Soprattutto gli uomini non sono avvezzi alla cosa; non sono allenati a offrire ma ad attaccare.

Nel percorso di Chiricosta impariamo a offrire a noi e al nostro corpo lo spazio e il tempo che gli sono stati sottratti. E nel farlo ci scopriamo forti, meno vulnerabili e meno violabili di quanto il sistema ci vorrebbe. Un atto sovversivo a tutti gli effetti: la riscoperta di quella forza benefica e collettiva che ci è sempre appartenuta, anche se non ce n’eravamo ancora accorte.

Per approfondire:

Belotti, E.G, Dalla parte delle bambine, Universale Economica Feltrinelli, 2013.

Chiricosta, A., Muoversi nello spazio senza chiedere permesso. Autodifesa e autocoscienza combattente femminista, Castelvecchi, 2024.

Le Guin, U.K, “Un discorso accademico scritto con la sinistra (1983)”, da I sogni si spiegano da soli. Immaginazione, utopia, femminismo, a cura di Veronica Raimo, Edizioni SUR, 2022.

Van der Kolk, B. Il corpo accusa il colpo: mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche. Raffaello Cortina Editore, 2020.

Sito di Alessandra Chiricosta: https://www.alessandrachiricosta.it/

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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.

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