Narrativa Contemporanea, Recensioni

Dissolversi: La vegetariana di Han Kang

Sono approdata a La vegetariana dopo qualche settimana dall’assegnazione del Nobel alla sua autrice. Conoscevo il libro a distanza, come argomento di discussioni orecchiate qua e là tra colleghe e amiche, ma finora non mi aveva attirata abbastanza da vincere la ritrosia dovuta a un primo, grande malinteso sul suo contenuto: ero convinta che fosse un libro che parlava di disturbi alimentari, un libro come quelli che qualche anno fa hanno spopolato sul mercato trattando di anoressia o di bulimia e facendo leva sull’attrazione macabra che riserviamo alle cose che ci affascinano e spaventano al contempo.

Non potevo essere più in torto, e per fortuna l’assegnazione del Nobel ad Han Kang ha allentato la mia ritrosia tanto da convincermi a dare una possibilità a questo romanzo. La vegetariana parla anche di disturbi alimentari, questo senza dubbio, e di scelte alimentari etiche, ma questi non sono che un primo livello di un discorso molto più profondo e complesso.

Tre sezioni, tre sguardi sulla stessa donna

Una notte, la protagonista Yeong-hye si risveglia da un sogno inquietante e decide di non voler più mangiare carne. Quella che all’inizio sembra una scelta etica diventa, giorno dopo giorno e in maniera sempre più evidente, una volontà di ribellione e dissoluzione. Yeong-hye, fino a quel momento donna ordinaria, moglie integerrima e figlia devota, comincia a mostrarsi agli occhi delle persone che la circondano sempre più eccentrica, silenziosa e incomprensibile: rifiuta la carne e si aggira nuda per casa, parla pochissimo e quando lo fa pronuncia frasi socialmente inaccettabili; si oppone alla volontà del marito e a quella del padre, tanto da arrivare a ferirsi con un coltello pur di non accettare di piegarsi ai comandamenti del capofamiglia.

Il racconto è suddiviso in tre sezioni, che scandiscono altrettanti punti di vista: quello del marito in primis, che osserva il delirio di Yeong-hye con crescente rigetto; quello del cognato artista, che sembra intuire per primo la volontà di Yeong-hye di diventare pianta – essere libero che non conosce regole – ma distorce questa volontà per soddisfare il suo desiderio sessuale; e infine quello della sorella, l’unica a comprendere nel profondo il desiderio di Yeong-hye di svanire per sempre da un mondo che non la accetterebbe mai per quella che è davvero.

Il rigetto delle convenzioni sociali

Alle radici del disturbo di Yeong-hye sembra esserci un trauma famigliare: Han Kang ci mostra spezzoni di un’infanzia vissuta all’ombra di un padre violento, la cui visione crudele del mondo, ormai interiorizzata dalla Yeong-hye adulta tanto da renderla una moglie mite e ossequiosa, si distorce nei sogni che ossessionano prima lei e poi, nella terza parte, anche la sorella.

Il rifiuto di Yeong-hye per le convenzioni, il suo voler stare nuda, nutrirsi solo di sole e acqua, il suo respingere ogni tentativo delle persone che la circondano di riportarla a uno stato di “umanità accettabile”, sembra però essere una risposta non solo alle violenze subite dal padre, ma anche alle costrizioni di una società – quella coreana moderna – estremamente ancorata alle convenzioni e alle tradizioni.

Nella prima sezione, narrataci dal punto di vista del marito di Yeong-hye, assistiamo a una cena di lavoro nella quale la scelta del vegetarianesimo di Yeong-hye – che ancora mangia, anche se molto poco – viene schernita accesamente dagli esponenti delle classi sociali più alte e integrate. Mangiare carne diventa qui metafora dell’essere adeguati, adatti a una società costruita su regole di comportamento ferree e intransigibili. Il desiderio di Yeong-hye di non volersi conformare – esemplificato dal suo rifiuto della carne ma anche dal suo presentarsi senza reggiseno e dal suo interagire pochissimo con gli altri commensali – è recepito come uno scandaloso atto di ribellione verso una struttura sociale che rigetta ogni insubordinazione.

Anche la reazione del marito di Yeong-hye è esemplificativa: incapace di comprendere il desiderio della moglie di liberarsi dalle sovrastrutture che la costringono a un ruolo passivo e subordinato, vede nelle scelte di Yeong-hye i segni di un delirio del quale non vuole essere testimone; finisce così per abbandonarla, contravvenendo lui stesso a una delle convenzioni più rigide della cultura coreana: qualla del matrimonio, vincolo indissolubile che può essere infranto solo in casi estremi – come appunto il delirio della propria moglie – e anche in questo caso con grande riprovazione della società.

Erotismo e sopraffazione

Nella seconda sezione, il cognato di Yeong-hye trova il modo di realizzare i sogni che lo ossessionano – tema ricorrente nel romanzo, i sogni – e a riprodurre un atto sessuale con Yeong-hye nel quale entrambi sono incarnazioni del mondo vegetale. Approfittando dell’ottundimento della cognata – che dopo essersi ferita con il coltello è stata sedata dagli psicofarmaci – la convince a posare per lui e poi al sesso, entrambi con il corpo dipinto di fiori e foglie.

L’immagine, atroce e bellissima, dei due corpi nudi ricoperti di disegni contrasta spietatamente con il comportamento apatico di Yeong-hye, che si lascia trascinare in questo gioco erotico senza mai opporre resistenza, nella speranza di trovarvi la dissoluzione completa. Abuso o rapporto consensuale? Questa domanda rimane aperta, così come aperta rimane la questione morale: quale forma di sopraffazione è più condannabile? Quella fisica perpetrata dal cognato o quella mentale alla quale Yeong-hye è costretta da sempre nel mondo in cui vive, e dalla quale cerca di liberarsi proprio attraverso il sesso?

Dissolvenza

Nell’ultima sezione, la dissoluzione di Yeong-hye arriva a compimento. Forse influenzata dall’abuso del cognato, forse semplicemente libera da ogni forma di controllo, ormai rifiuta anche ogni tentativo di alimentazione artificiale. Al principio, la sorella osserva la sua autodistruzione con dolore, prova a opporle alternativamente gentilezza e brutalità, ma intanto comincia a perdersi a sua volta, discendendo nella stessa spirale che ha investito Yeong-hye. Come la sorella, sogna di essere albero, di stare a testa in giù e stendere le proprie gambe al cielo e semplicemente essere, lontana dalla sofferenza, dalla costrizione, dalle richieste sempre più logaranti del mondo. In finale, l’unico atto d’amore possibile sembra essere accettare il desiderio di Yeong-hye di lasciarsi andare, cercando al contempo il modo di restare.

Han Kang costruisce una metafora profonda e dolorosa del desiderio di libertà che appartiene a molte di noi, soprattutto le donne, costrette spesso a un ruolo di marginalità e silenzio. Non è un caso che l’intero racconto sia narrato senza mai considerare il punto di vista di Yeong-hye: vittima di un sistema che la vorrebbe altra da sé, può solo essere racconto d’altri, dentro il quale sprofondare fino alla dissoluzione completa.

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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.