Femminismo, Recensioni

Il silenzio delle ragazze: la discutibile rivisitazione dell’Iliade creata da Pat Barker

Penso non possa esistere intento più lodevole del voler dare voce a chi non l’ha mai avuta. Ma i buoni intenti non sempre sono sufficienti e anzi, in alcuni rari casi, si finisce per giustificare un nuovo torto con la scusa che è nato da un “buon intento”. È questa la critica forse più aspra che mi sento di muovere a Il silenzio delle ragazze di Pat Barker: quella di nascere nelle idee come un riscatto per le donne silenti dell’Iliade, e di finire per diventare un dipinto grottesco e implausibile di un maschile che, in una visione distorta e pericolosa di femminismo, non può che essere sempre e solo il nemico.

Trama

Mentre gli achei assediavano Troia e Omero ne cantava le gesta, che ne era delle donne e delle ragazze troiane? Schiavizzate, abusate, spezzate dalla guerra quanto e più della loro contropartita maschile, non hanno mai avuto la possibilità di aggiungere la loro voce a quella degli eroi greci e troiani.

In questa rivisitazione del mito, è Briseide a dare parola alle sue compagne. Gettando una nuova luce, dolorosa e forse a tratti eccessiva, sulla sofferenza che le donne dell’Iliade hanno vissuto.

Copertina Il silenzio delle ragazze
Copertina dell’edizione italiana de Il silenzio delle ragazze

Il silenzio delle ragazze

Non c’è cosa peggiore di una critica che perpetra gli stessi torti di ciò che vuole condannare. Questo il femminismo, per fortuna, lo ha ormai capito molto bene. La quarta ondata del movimento (o dei movimenti, come sarebbe giusto chiamare il coro vibrante di voci che lo compongono) ha imparato che se vuole ottenere la parità e la giustizia che cerca, non può più lavorare ignorando metà della realtà in cui è immersa. E anzi, consapevole che il mondo non può più essere distinto in due sole parti, ma che è anzi costellato di espressioni diverse e ricche proprio grazie a queste diversità, ha abbandonato da tempo il paradigma “le donne vittime, gli uomini carnefici” (ammesso che lo abbia mai utilizzato davvero).

La realtà, d’altronde, è ben più complessa di così.

Per questo, fa male imbattersi in un’opera recente e così tanto esaltata dalla critica che torna a ripetere errori ormai superati da tempo. Quella in cui si lancia Pat Barker nel suo Il silenzio delle ragazze è una vera e propria caccia alle streghe.

O agli stregoni, volendo essere più precise.

Salta subito agli occhi, infatti, come non esista un singolo personaggio maschile di questa storia che riesca a uscire indenne dall’azione politica della Barker. Nemmeno Patroclo, il ragazzo d’oro, l’amico fedele e contropartita di Achille si salva dalla condanna dell’autrice. Lo sguardo di Briseide, prima donna aristocratica e poi schiava personale di Achille, condanna ogni singolo uomo sul quale si posa.

E se con un certo sforzo si può arrivare a intuirne la scelta (difficile trovare santi in una guerra, tranne forse tra quelli morti per primi) dall’altro il disprezzo e la pietà venata di superiorità che traspaiono dalle parole della narratrice non possono che irritare la femminista che è in me.

A ben guardare l’altro lato, infatti, non una donna raccontata dalla Barker ne esce davvero male. Anche la più subdola o la più vile delle schiave ha dalla sua la giustificazione di essere il frutto di un abuso. Eppure, ridurre una donna alla violenza che le è stata fatta equivale solo a perpetrarle altra violenza. Vuol dire negarle un’identità e una volontà proprie e, nel caso di questo libro, farle lo stesso torto che vorrebbe risanare.

Il silenzio delle ragazze
Illustrazione ispirata a Il silenzio delle ragazze e realizzata da Julianne Griepp, Laguna College of Art and Design

La bellezza della complessità

Alla fine della lettura, appare evidente che Il silenzio delle ragazze soffre di un lancinante e fastidioso semplicismo. Uomini cattivi e guerrafondai e donne vittime e schiave non è un paradigma che ha ancora senso raccontare.

Non, soprattutto, quando si parte da una storia che ha dalla sua la complessa bellezza dell’Iliade. Che non è certo un’opera perfetta – d’altronde è figlia del suo tempo – ma che ha comunque in sé dei semi che vale la pena continuare a coltivare.

Perché negare, ad esempio, l’amore che Achille provava per Patroclo? Che venga interpretato come amore fraterno o come vero e proprio legame sentimentale, nessuno finora ne aveva mai messo in dubbio l’esistenza. Eppure la Barker lo riduce a un’ossessione quasi morbosa, un bisogno bambinesco del Pelide che trova conferma nella rassegnata servilità del suo amico d’infanzia.

Riconoscere a un uomo la sua capacità di amare, rende forse meno brutali le sue gesta sul campo di battaglia?

Io non credo, perché se c’è una cosa che caratterizza gli esseri umani è proprio la loro meravigliosa complessità. Macellai di giorno, amanti di notte, perché d’altronde la guerra è una cosa che spesso va fatta e che, per fortuna, non tutti bramano disperatamente (e anche quando la bramano, come nel caso della sete di gloria di Achille, questo non li rende meno capaci di amare).

Nella sua rappresentazione binomiale, che cerca di distinguere nettamente bene e male inserendo in quest’ultimo l’esercito acheo nella sua interezza, la Barker finisce per appiattire tutto, Briseide compresa. Che invece che una donna forte, sopravvissuta a più di un massacro e, nonostante tutto, capace di provare amore per il figlio del suo nemico e forse persino per quest’ultimo, si riduce a una voce narrante che giudica tutto e tutti senza però dar prova di possedere davvero la superiorità di cui si riveste.

Quella di chi è capace di comprendere, oltre che di giudicare. E che si distingue dall’altro proprio nella consapevolezza che bene e male sono parte di noi, e ci appartengono intimamente in quanto esseri umani.

Le intenzioni, come dicevo all’inizio, erano davvero lodevoli. Le donne e le ragazze dell’Iliade meritano che la loro voce si innalzi al fianco di quelle dei soldati dei quali sono state mogli, compagne e perfino schiave.
Ma sono certa che esistano modi migliori di questo per raggiungere lo scopo, modi che non richiedono di comportarci con gli uomini nel modo che per secoli abbiamo recriminato loro. Essere femministe, d’altronde, passa anche e soprattutto da questo: consapevolezza di quello che è stato e voglia di cambiare questo mondo in meglio.

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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.

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