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Recensione La locanda dell'ultima solitudine di Alessandro Barbaglia


“Vedi, don Piter, mia nonna viveva di poche regole semplici, e una era: se trovi qualcosa fuori posto, sistemalo. E ha fatto così con tutto.”
“Fiori compresi?”
“Fiori compresi. Diceva che i fiori della primavera sono i sogni che si sono fatti in inverno. Bisogna piantarli d'inverno, i semi dei sogni, quando nessuno pianterebbe nulla. È allora che bisogna crederci, nei sogni: quando tutto sembra incredibile. È allora che bisogna seminarli. Se resistono al gelo dell'inverno, se hanno la forza di resistere al vento, allora in primavera sbocciano. Non si deve piantare un sogno quando il tempo è bello! I sogni si piantano al gelo – diceva mia nonna – per farli forti una volta che sono fiori. Se crescono scordati, però, al passaggio del vento ispirano sinfonie di sogni futuri fuori tono. E tutto va alla rovina. Mia nonna diceva che il sogno non va solo piantato d'inverno, ma anche accordato quando sboccia. Se ci pensi è una follia: bisogna sempre curarli i sogni, senza abbandonarli mai…”

Libero e Viola, due cuori che battono all'unisono senza saperlo; due anime che si riconoscerebbero da lontano, se solo fossero pronte a farlo. La locanda dell'ultima solitudine è la storia di due vite che sembrano sbagliate solo a chi si ferma a guardare l'adesso, qui, e non riesce ad andare oltre e vedere il dopo, là. È una storia di attese e azioni non previste, di eventi che accadono senza che ce li aspettiamo, ma anche di situazioni così bramate e attese che non arrivano mai come davvero le abbiamo immaginate.
È la storia di coloro che sanno attendere, ma un po' anche quella di coloro che sanno accordare i fiori perché ci permettano di sognare solo sogni che vale la pena realizzare, di anime che sanno parlare solo gridando, e ancora di cuori che desidererebbero farlo, ma possono solo suonare.

Libero è abituato ad aspettare, ad amare l'attesa dell'evento più dell'evento stesso; è così intenzionato a godersi le attese da non riuscire quasi ad apprezzare i momenti che ha tanto atteso; aspetta da una vita l'amore della vita, ma appena ne giunge uno sbagliato ci mette una vita a riconoscerlo. E nel mentre continua ad aspettare, proteso verso una meta che conosce solo per nome, quell'ultima solitudine che lo attende da qui ad un decennio che potrebbe non voler dire niente, ma che sa che vorrà dire tutto.
Viola invece è tutto il contrario: in lei l'attesa è solo un inganno, un offuscamento della realtà, il modo per fingere con sé stessi che le cose potranno tornare ad essere come un tempo, che il cuore potrà ricomporsi solo agendo continuamente. E quindi Viola agisce, scheggia impazzita, irrequieta, un urlo senza fine che fatica ad arrestarsi, che preme per raggiungere un luogo che non conosce ma che brama con ogni brandello.
Che si tratta dello stesso luogo di Libero lo capiamo fin dall'inizio, ma è come ci arriveranno che è imprevedibile: entrambi si scontrano con una realtà fatta di scelte impreviste e a volte sbagliate, di incontri che ti salvano la vita e di altri che invece non fanno che rallentare il tuo percorso verso la meta che sembra ritornare sempre nei tuoi pensieri.

La locanda dell'ultima solitudine è la storia di Viola e Libero, ma è anche la storia di Enrico, che ha fatto della solitudine una ragione di vita, e che offre a chi lo cerca un luogo dove trovare la propria e condividerla con gli altri; è la storia di Margherita che impara ad urlare per comunicare con un mondo che sembra non riuscire più ad accordare, ed è al contempo la storia di Nero, che scompare e riappare davanti agli occhi del suo padrone come una sentinella spirituale candida e pelosa.
È una storia dolce e delicata, una piccola carezza letteraria che pare volerci sostenere quando stiamo per cadere; è un inno alla vita, un richiamo ad imparare a sognare e ad attendere che il sogno si realizzi, sbagliando nel frattempo, urlando quando serve, consapevoli che la nostra meta ci attende su uno scoglio illuminato da un tramonto in riva al mare, intenso come l'avevamo sognato, dolce come un fiore appena accordato.
È un racconto narrato come solo una favola della buona notte può essere, dolce e confortevole, delicata e potente, sussurrata ai margini del sonno per far più presa nei sogni, per dargli consistenza e coraggio.
E alla fine della lettura è proprio di questo che ringraziamo Barbaglia: di averci fatto vedere ancora la realtà come se fosse un sogno, un gioco che solo il nostro essere ancora un po' bambini può vincere continuando a sognare e accordando i nostri sogni affinché non vadano mai fuori tono.


Io ringrazio immensamente la Mondadori, e soprattutto Anna per avermi fatto conoscere questa dolce e piccola perla e per avermi dato la possibilità di parlarvene. Ho rivisto in Alessandro Barbaglia molti dei lati che più ho imparato ad apprezzare in altri autori come Matteo Bussola: quella capacità mai sbiadita di raccontare il mondo con semplicità e sincerità, come solo chi è ancora un po' bambino dentro riesce a fare. E che solo chi è ancora un po' bambino dentro riesce ad apprezzare.

Trama:
Libero e Viola si stanno cercando. Ancora non si conoscono, ma questo è solo un dettaglio… Nel 2007 Libero ha prenotato un tavolo alla Locanda dell’Ultima Solitudine, per dieci anni dopo. Ed è certo che, lì e solo lì, in quella locanda tutta di legno arroccata sul mare, la sua vita cambierà. L’importante è saper aspettare, ed essere certi che “se qualcosa nella vita non arriva è perché non l’hai aspettato abbastanza, non perché sia sbagliato aspettarlo”. Anche Viola aspetta: la forza di andarsene. Bisogno, il minuscolo paese in cui abita da sola con la madre dopo che il padre è misteriosamente scomparso, le sta stretto, e il desiderio di nuovi orizzonti si fa prepotente. Intanto però il lavoro non le
manca, la collina di Bisogno è costellata di fiori scordati e le donne della famiglia di Viola, che portano tutte un nome floreale, si tramandano da generazioni il compito di accordarli, perché un fiore scordato è triste come un ricordo appassito. Libero vive invece in una grande città, in una casa con le pareti dipinte di blu, quasi del tutto vuota. Tranne che per un baule: imponente, bianco. Un baule che sembra un forziere, e che in effetti custodisce un tesoro, la mappa che consente di seguire i propri sogni. Quei sogni che, secondo l’insegnamento della nonna di
Viola, vanno seminati d’inverno. Perché se resistono al gelo e al vento, in primavera sbocciano splendidi e forti. Ed è allora che bisogna accordarli, perché i sogni bisogna sempre curarli, senza abbandonarli mai. Libero e Viola cercano ognuno il proprio posto nel mondo, e nel farlo si sfiorano, come due isole lontane che per l’istante di un’onda si trovano dentro lo stesso azzurro. E che sia il mare o il cielo non importa. La Locanda dell’Ultima Solitudine sorge proprio dove il cielo bacia il mare e lo scoglio gioca a dividerli. La Locanda dell’Ultima Solitudine sta dove il destino scrive le sue storie. Chi non ha fretta di arrivarci, una volta lì può leggerle. Come fossero vita. Come fossero morte. Come fossero amore

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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.

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