Narrativa Contemporanea, Recensioni

Recensione Tutto il nostro sangue di Sara Taylor


Non posso che essere entusiasta di aprire il nuovo anno di recensioni su Chiacchiere Letterarie parlandovi di un libro che è riuscito a colpirmi in ogni senso letterario possibile. Non si tratta di una lettura semplice senza dubbio, soprattutto dal punto di vista emotivo, eppure forse proprio per questo, Tutto il nostro sangue di Sara Taylor è penetrato dentro di me insinuandosi tra gli spessi strati di pelle, contagiando ogni cellula sul suo cammino, giungengo infine ai polmoni e al cuore, mozzandomi il respiro e stritolandomi il cuore nella sua morsa di cruda realtà e dolce malinconia. Una metafora forse esagerata a prima vista, ma che riesce a rendere solo in parte questa devastante esperienza di lettura: si è trattato infatti di un vero e proprio viaggio attraverso l’inferno, un incontro ravvicinato con i demoni che accompagnano molte donne (e non solo) nel loro cammino, uno spaccato crudo e tristemente veritiero di quella che sarebbe potuta essere la vita di molte di noi se fossimo nate in un posto diverso, in un’altra epoca, in una pelle diversa.

Sebbene non sia possibile individuare un solo tema dominante in questo romanzo, è difficile non venir colpiti subito dalla desolata disperazione delle numerose donne che ne solcano le pagine, anime collegate da deboli e annacquati legami di sangue che purtroppo sembrano destinate a ripetere sempre lo stesso copione, vittime di mariti violenti, territori ostili, destini tutt’altro che luminosi e giorni che si ripetono nella stessa eterna monotonia e sofferenza. A collegarle, un albero genealogico che corre per quasi due secoli, diviso in due spietate metà che a prima vista paiono opposte ma che a poco a poco si rivelano in tutta la loro comunione nel dolore e nella disperazione; una parte di famiglia all’apparenza benedetta da un dono ed un altra maledetta nella sofferenza, eppure non tutto è come sembra e di anno in anno le somiglianze si fanno più pressanti e i destini più vicini.
Dal 1870 in cui scorgiamo i primi fili della sottile maglia che tiene insieme le due discendenze, al 2170 in cui chiudiamo infine il cerchio, Tutto il nostro sangue ci trascina in un viaggio temporale discontinuo, frammentario, incompleto eppure circolare, quasi periodico nella successione degli eventi di cui si compone. E in questi due secoli non riusciamo mai a lasciare le Shore, le piccole isole protagoniste della vicenda; il nostro sguardo non può mai posarsi più in là, non gli è concesso allontanarsi dal vero teatro di queste pesanti vicende. Ci giriamo intorno, ne assaporiamo ogni aspetto, ne carpiamo ogni segreto, senza mai poterlo confrontare con l’esterno. I nostri occhi e la nostra anima ne sono intrappolati, vagano disperatamente tra le sue paludi, solcano i suoi fiumi, lambiscono le sue rive, senza riuscire ad alzare le vele e a fuggirne.

E lo stesso capita ai personaggi che vi abitano. Le loro vite sono legate a filo doppio a queste terre e da esse paiono trarne sempre più dolore che vantaggi. Eppure le Shore paiono ergersi fino all’ultimo a loro protettori, come se chiudendoli nella loro muta disperazione cercassero di proteggerli da qualcosa di peggio, di tenerli lontani da una sofferenza ancora più aspra che non saprebbero come gestire.
E infatti quando qualcuno di loro riesce infine a fuggire, immancabilmente è spinto a tornare e spesso a ricadere nel loro spietato clima di amore e sofferenza, da cui sembrano non essere in grado di separarsi. Come se in realtà essi fossero formati della stessa sostanza di cui sono fatte le isole, con le loro paludi, le loro vaste foreste e le loro rive insidiose in cui si infrange tutta la potenza dell’Oceano.
Come vi dicevo sono soprattutto le donne a narrarci la vita sulle Shore, e sono sempre loro le custodi dei loro segreti, anche se spesso i loro uomini ne hanno portato per un certo periodo il peso. Per questo forse è difficile trovare un personaggio maschile totalmente positivo, soprattuto nell’ambiente familiare: violenti, drogati, insensibili e rudi, gli uomini delle Shore ne solcano il terreno senza conoscerne davvero l’essenza, convinti di poter piegare la terra ai loro capricci e alle loro necessità. Mentre le loro madri, mogli, figli si fanno depositarie dei suoi desideri, ne accolgono spesso il canto e la preghiera, arrivando quasi ad annullarsi in essa per comprenderla. Eppure le vite di quest’ultime sono raramente piacevoli, costellate come sono di ingiustizia e sopprusi, di desiderio di fuga e di perdizione, tanto da essere loro stesse a volerne fuggire più spesso, vittime di quel ciclo di amore e sofferenza che permea le isole e i loro abitanti.

Anche dal punto di vista stilistico ci troviamo davanti ad una lettura tutt’altro che comune, che però riesce a catturare fin da subito sia per la particolare struttura, una raccolta di racconti frammentari e collegati, senza continuità temporale ma con una forte continuità spaziale, sia per la scelta stilistica operata, quasi un esperimento di forme e persone narrative e temporali che potrebbe lasciare spaesati se non fosse gestito con sapienza e maestria dall’autrice. Una varietà di forme strettamente legate alle emozioni e ai caratteri dei narratori, che ne risultano rafforzati, intensificati, a tutti gli effetti realistici.
Apprendere infine di trovarmi davanti ad un esordio narrativo così complesso e perfetto ha completato il quadro di stupore che già mi aveva suscitato terminare il romanzo, e mi ha spinta a desiderare ardentemente di leggere altro di Sara Taylor, in paziente attesa di essere rigettata in un ciclo così vivido di vita e morte .


Trama:
In un arcipelago al largo delle coste della Virginia, lungo un arco di tempo che va dal 1855 a un postapocalittico e distopico 2143, si intrecciano le storie di due famiglie. Queste isole – per alcuni un santuario, per altri una terra di incubi – avvolgono le esistenze dei personaggi in una rete di miserie e piccoli miracoli. La determinazione di due sorelle che si stringono l’una all’altra in una famiglia devastata dalle metanfetamine; una ragazza che lotta per emanciparsi da un padre alcolizzato; una donna che decide di fuggire da una famiglia violenta per ritrovarsi tra le braccia di un uomo forse peggiore: relazioni tumultuose che scorrono lungo i rami di un albero genealogico, sullo sfondo di un paesaggio pericoloso e ammaliante. Un turbinio di vicende che trascina il lettore in un’esperienza estrema di nascita e morte, di giuramenti e di istinti primitivi e vili. La voce di Sara Taylor, avvicinata dalla critica a quella di Flannery O’Connor, è intrigante e selvaggia. “Tutto il nostro sangue” è un romanzo abitato da storie e personaggi ambigui, colmo di situazioni grottesche e pervaso dal soffio della letteratura gotica del sud degli Stati Uniti.

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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.

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