Recensioni, Voci dalla Sardegna

Recensione Vita di Eleonora d’Arborea di Bianca Pitzorno


È pressoché impossibile essere nati ad Oristano e averci vissuto senza aver sentito nominare almeno una volta Eleonora d’Arborea, la giudicessa medievale il cui mito ha riscaldato i cuori di un gran numero di ragazzine della città, compresa la sottoscritta. Fin dall’elementari infatti, studiando a scuola la storia della Sardegna, maestri e libri hanno contribuito ad alimentare la leggenda di questa eroina del Giudicato d’Arborea, una valorosa combattente, nonché capace giurista in grado di ostacolare le pretese degli stranieri aragonosi su quella che già nel 1300 amava definirsi “Nazione sarda”.
Crescendo il mito dell’eroina nostrana è andato scemando, sostituito da nuove icone femminili meno eteree e più raggiungibili per un’adolescente il cui mondo inizia ad aprirsi al di là dei pochi chilometri della sua città. Eppure lo sguardo di Eleonora che sovrasta la piazza che porta il suo nome ha continuato a seguirmi ogni volta che uscivo in centro, e le sue rappresentanti hanno continuato ad affascinarmi quando assistevo alla loro vestizione durante i giorni di Sartiglia, la giostra orgoglio della mia città.

Ho dovuto però allontanarmi dalla mia città e dalle tradizioni che la popolano, perché la curiosità per la storia della mia terra mi portasse a cercare informazioni non solo su Eleonora, ma su tutti i personaggi che hanno contribuito a rendere la Sardegna quella che è oggi.
È così che sono giunta al libro di Bianca Pitzorno, pescato dalla libreria di famiglia durante le vacanze e rimasto in attesa, a Pisa, fino a qualche settimana fa, quando infine la curiosità è diventata tale da portarmi ad aprirlo. Come probabilmente tutti coloro che hanno posato lo sguardo su questo libro, mi aspettavo un romanzo, in bilico tra realtà storica e finzione, che ripercorresse la vita di Eleonora e le sue gesta, intervendo con licenze d’autore dove i documenti non potevano arrivare, ma camminando parallelo al mito della mia infanzia.

Quello che però vi ho trovato è qualcosa di diverso da un romanzo, ma al tempo stesso distante anche da un saggio o un documentario storico; si tratta di una creatura ibrida di queste forme narrative, figlio di entrambe ma al tempo stesso diverso in molti aspetti: spicca ad esempio l’assenza di veri e proprio dialoghi, così come un flusso narrativo romanzesco; sono presenti invece molti riferimenti a documenti dell’epoca giunti sino a noi grazie alle biblioteche spagnole e genovesi, così come si percepisce l’estremo tentativo dell’autrice di umanizzare e rendere reali quei caratteri che un saggio storico ridurrebbe a meri fautori di azioni e reazioni.
Grazie all’incredibile lavoro non solo di ricerca ma soprattutto di narrazione di Bianca Pitzorno, tra queste pagine troviamo un resoconto narrativo di fatti storici verificati, accostati a tentativi di ricreare gli ambienti, i sentimenti, le paure, le speranze di un’intera famiglia i cui gusti e pensieri sono stati spazzati via dall’azione distruttiva dei vincitori. Una famiglia che ha innegabilmente contribuito a plasmare non solo la storia della Sardegna, ma anche quella di nazioni lontane e potenti, come il Regno d’Aragona o lo Stato pontificio.

Conosciamo così i De Serra Bas a partire da Ugone II, nonno di Eleonora e fiero nemico dei pisani invasori di Sardegna, nonché vassallo di Aragona. Da lui cominciamo un viaggio guidato attraverso i membri della sua famiglia, passando da Pietro a Mariano IV, a suo figlio Ugone III e arrivando infine alla nostra Eleonora, ultima erede di una famiglia di visionari e sognatori, abili comandanti, fieri giudici e soprattutto fieri sardi di Sardegna.
Per quanto il titolo possa trarre in inganno, fin da subito Bianca Pitzorno ci informa che di Eleonora si parlerà solo in piccola parte, e solo dopo aver indagato sull’eredità che è giunta sino a lei dai suoi avi, i Giudici di quello che nel 1300 era rimasto l’unico Giudicato fieramente libero delle terre aragonesi.
Così, per mezzo di una piccola Eleonora e dei suoi fratelli, immaginati bloccati nelle foreste del Montiferru dalla peste del 1348, l’autrice ci narra le gesta coraggiose della famiglia giudicale, i loro rapporti con i più grandi re dell’Europa medievale, i loro accordi e le loro guerre, in un vortice di speranza, dolore e sogni di gloria che hanno investito tutti i membri della casata di Aristanis, la città sede del Giudicato.
L’indagine prosegue alternando racconti intorno al fuoco a letture di documenti storici, lettere scambiate tra i De Serra Bas e gli aragonesi, i genovesi, e molti altri esponenti di spicco dell’Europa del 1300.


Un’indagine che pare muoversi per tutto il romanzo come su una linea, che divide il rapporto storiografico all’opera romanzesca, la prima espressa dalle ricerche storiche, la seconda dalle ipotesi sui sogni e sulle speranze soprattutto della nostra Eleonora, spettatrice passiva della storia della sua terra fino al 1383, anno in cui infine assume il titolo di Giudicessa d’Arborea nelle veci del figlio Federico, legittimo erede del giudicato. Da questo momento inizia la leggenda della valorosa combattente e della madre e moglie devota giunta sino ai testi che leggevo da bambina, e qui inizia la missione più importante per la Pitzorno: spogliare l’eroina dalla sua leggenda, cancellare l’aura di invincibilità che la cultura ottocentesca le ha ricamato addosso, per trovare la vera donna che si cela dietro il mito.
Così grazie alla Pitzorno perdiamo una combattente in sella al suo cavallo che guida il suo popolo in battaglie e rivolte, ma guadagniamo una saggia legislatrice, erede e cultrice di un progetto, di una visione che ancora oggi si stenta a riconoscere in una personalità medievale.
A dimostrare il suo valore giuridico è il codice di leggi da lei redatto nel 1392, quella Carta de Logu che ancora stupisce storici e giuristi moderni per molte caratteristiche innovative per i tempi in cui è stata creata. Di questa carta possiamo leggere un esempio nel romanzo stesso, sufficiente a riconoscere in Eleonora non la valorosa eroina che il mito vorrebbe tramandare, quanto una figura al passo con i grandi pensatori della sua epoca, attenta alle esigenze del suo popolo e capace di vedere oltre i limitati confini della sua isola, fino ad allora considerata rozza e poco istruita.
Erede diretta del piano e della visione del padre, Mariano IV, già creatore di una carta di leggi che è l’embrione, l’origine dell’opera della figlia, nonché primo vero ideatore del grande progetto che investì la Sardegna per tutta la seconda metà del XIV secolo; un progetto che purtroppo è sbiadito con la morte della figlia, Eleonora e dei suoi eredi, ultimi veri Giudici, o principi per usare un termine continentale, di un piccolo regno che ha osato guardare ai grandi della storia, ritagliandosi il suo spazio tra loro per quasi cinquant’anni.



Trama:
Eleonora d’Arborea è uno dei personaggi più famosi e insieme meno documentati della storia sarda. Giudicessa d’Arborea – cioè sovrana di uno dei quattro giudicati, veri e propri Stati autonomi, nei quali era suddivisa l’isola nella seconda metà del Trecento firmò un codice di leggi, la Carta de logu, rimasto in vigore con poche modifiche fino al 1827. Oltre a ciò, Eleonora fu l’ultima regnante indigena dell’isola, capace di radunare sotto un’unica bandiera le diverse popolazioni sarde che per la prima volta si riconobbero come “nazione” e lottarono con successo contro gli aragonesi. Inevitabilmente attorno alla sua figura nacque una leggenda, ampiamente alimentata soprattutto in epoca romantica. Eleonora è stata dunque rappresentata come principessa guerriera, raffinata madonna cortese, madre affettuosa, sposa fedele, avveduta massaia, devota cristiana, dotta legislatrice…

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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.

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