Racconti, Storie da GdR

Scomparso

La pioggia tamburella sul tettuccio dell’auto, un battere ritmico che fa da eco ai suoi pensieri. Pallidi guizzi di vita appaiono e scompaiono oltre il vetro, ma la ragazza è troppo assorta per vedere altro che ombre davanti a sé. Anche l’insegna dell’attività davanti alla quale l’auto accosta non è che una macchia di colore dietro la perfetta trasparenza delle gocce d’acqua.

Tra le dita del guanto scuro, il cartoncino è diventato molle per la pioggia e per il troppo maneggiarlo. L’inchiostro è ormai sbiadito, ma anche questo dettaglio sembra non riguardarla. Troppo concentrata sui suoi dubbi, è necessario che l’autista la chiami una seconda volta perché lei riesca a sentirlo.

«Miss… volete che vi riporti a casa?»

Le pareti dell’auto si fanno d’un tratto più chiare, mentre Lizzie mette a fuoco l’abitacolo. Fuori, la pioggia batte ancora, ma ora l’attenzione della ragazza è proiettata verso Benjamin, che la osserva dallo specchietto retrovisore. «No, grazie Ben» dice. In qualche modo, quelle poche parole servono a darle sicurezza. Le dita stringono il biglietto da visita con rinnovato coraggio. «Aspettami qui, non ci vorrà molto.»

Legge del dubbio nello sguardo dell’autista, ma non gli dà peso. Fuori, l’accoglie un vento gelido che le fa sfuggire il respiro dalle labbra, disperdendolo in una nuvola di vapore nell’oscurità. Si stringe nel cappotto, troppo grande per avvolgerla in modo elegante. Vorrebbe sembrare più ricca, più autoritaria, ma non ha bisogno di specchiarsi nel finestrino dell’auto per sapere che non sembra affatto una donna sicura di sé. Tutto, in lei, grida panico e incertezza.

Eppure, chiude lo sportello e mette un piede davanti all’altro, arrivando al portone ben prima di sentirsi pronta. Inspira e chiude gli occhi, stringendo il biglietto da visita che ha riposto nella tasca. La punta delle dita sfiora il sottile cerchio di metallo che ha lasciato cadere lì dentro qualche ora prima e il freddo dell’oggetto riesce in qualche modo a penetrare il camoscio dei guanti e a strapparle un brivido. 

Per un attimo, la soverchia il desiderio di fuggire da quella situazione. Ma non può voltarsi, non vuole farlo. Tutto, in lei, grida per andare avanti. Così lascia cadere il cartoncino nella tasca e bussa due volte. Quando la porta si apre, attraverso le lenti bagnate scorge un ragazzo, che deve avere più o meno la sua età.

«Salve. Posso aiutarla?» La sua voce è un conforto inaspettato.

«S-sì, salve.» Lizzie balbetta, poi si maledice perché non riesce mai ad apparire come vorrebbe, in situazioni come questa. Si sistema gli occhiali che stanno scivolando sul naso, prima di continuare. «Sto cercando il signor Bones.»

Il ragazzo sorride, un sorriso caldo che sembra allontanare il gelo della notte. «Allora è nel posto giusto. Prego, si accomodi.» Si scosta per farla passare e Lizzie si domanda come possa un ragazzo così giovane essere già un detective affermato. Lui chiude la porta e le fa cenno di seguirlo su per le scale. «Il signor Bones normalmente riceve su appuntamento, ma al momento è libero e sono sicuro che sarà lieto di aiutarla.»

Dev’essere un assistente, capisce Lizzie, e la cosa ha molto più senso. Mentre salgono l’uno di fianco all’altra, lo osserva di sottecchi alla luce aranciata delle lampade e scorge dei lineamenti delicati, piacevoli persino, sotto la cascata di capelli scuri pettinati con cura. Anche l’odore che emanano i suoi vestiti è piacevole, una fresca acqua di colonia che le pare stranamente familiare. L’ha già avvertita altre volte, ne è certa, ma è certa anche di non aver mai visto quest’uomo. Qualcosa nel suo profumo la porta a pensare ad Arthur. 

Sorpresa, lo osserva con più attenzione ed è fin troppo concentrata nel suo scrutinio per accorgersi che il soffitto si è abbassato appena le scale hanno cominciato a girare. Più del colpo che prende sulla fronte, a bruciarle è l’imbarazzo. «Auch!» le sfugge e il ragazzo si ferma e sgrana gli occhi. «Vi siete fatta male?»

Piuttosto che ammetterlo, Lizzie preferirebbe mordersi la lingua. «No, non vi preoccupate signor…» Si accorge solo in quel momento di non sapere con chi sta parlando e si blocca, in imbarazzo.

E anche lui pare realizzarlo solo ora. «Perdonatemi, sono stato scortese. Sono Thomas Dellavedova» si presenta, tendendole la mano. «Sicura di star bene?»

«Sì, ne sono sicura. Elizabeth Marshall, comunque. Lizzie, per gli amici.» Gli stringe la mano mentre con l’altra si massaggia la fronte. Per un attimo, le pare di veder passare un’ombra sul volto del signor Dellavedova. Ma è solo un’impressione e questa svanisce ben prima che possa assumere consistenza. «Dellavedova? Siete italiano?» chiede, per stemperare un poco l’imbarazzo.

Lui annuisce, il sorriso tornato sul suo volto. «Sì, ma di terza generazione, da parte di madre. Non sono mai stato in Italia, purtroppo, ma un giorno mi piacerebbe visitarla.»

Non fosse per il freddo che filtra dalle pareti, e che la fa rabbrividire in modo evidente, Lizzie starebbe quasi bene in questo momento. Con la mano di uno sconosciuto nella sua, ferma al centro della rampa di scale, per la prima volta dal mattino si sente inspiegabilmente al sicuro. Anche la sensazione di gelo che ha percepito sulla punta delle dita è svanita, sostituita da un piacevole calore.

È il giovane Dellavedova a spezzare quello strano momento. «Al piano di sopra c’è più caldo, venite» dice, sciogliendo la presa e voltandosi per salire. A lei non resta che seguirlo, anche se un momento dopo che le loro mani si sono separate, il freddo è tornato a invaderla a ondate.

Al primo piano c’è più caldo, il signor Dellavedova non ha mentito. La fa accomodare in una stanza modesta, arredata di un divano malconcio e di un vecchio schedario aperto. Una stufetta accanto al divano emana il piacevole tepore che pervade l’ambiente e Lizzie finalmente smette di rabbrividire. 

«Accomodatevi, avviso il signor Bones.»

Dellavedova sparisce dietro una porta socchiusa e Lizzie sprofonda tra le molle arrugginite del divano, che si rivela più scomodo del previsto e la costringe ad alzarsi qualche secondo dopo. Approfitta del momento di quiete per tirar fuori un fazzoletto dalla tasca e asciugare le lenti degli occhiali, poi prova a dare un ordine alla cascata di ricci ribelli che le pendono sulla testa, e che sembrano soffrire quanto lei dell’umidità di quella giornata di novembre. Lo sguardo le cade su un piccolo specchio appeso sopra lo schedario, reso opaco dal tempo e dall’incuria. Alla vista della sua immagine riflessa, e dello sguardo spaesato e spaventato che le restituisce, Lizzie sente un altro brivido. Questa giornata sta rapidamente scalando la classifica delle peggiori della sua vita, e ancora non è finita.

Per fortuna, Dellavedova è di ritorno dopo pochi minuti e mette un freno all’ansia che comincia a montare, minacciando di sopraffarla. «Signorina Marshall, accomodatevi. Il detective è pronto a ricevervi.»

Con un tocco di galanteria, il ragazzo le tiene aperta la porta e la fa passare per prima. Oltre, al centro di una stanza ingombra di carte, un uomo di mezza età la aspetta in piedi dietro a una scrivania. Fogli, fascicoli e qualche tazza sporca punteggiano il piano e perfino le due sedie posizionate davanti al detective sono occupate da quelli che hanno tutta l’aria di essere vecchi documenti.

«Buona sera, signorina. Cosa possiamo fare per voi?»

Lizzie capisce subito che non è un uomo che ama perdere tempo in convenevoli. D’altronde, ha proprio l’aspetto che si era immaginata: sulla cinquantina, il volto segnato dal sole e dai pensieri e lo sguardo duro di chi ha visto tanto e ancora non ha intenzione di fermarsi e ritirarsi a vita pacifica. Se non fosse per la presenza di Thomas, che nel frattempo si adopera per liberare le sedie dalle carte, Lizzie si sentirebbe quasi intimidita.

Deve inspirare profondamente prima di sentirsi pronta a parlare e a calarsi nei panni della ricca e determinata aristocratica capace di assumere un uomo come quello che ha davanti. «Grazie per avermi ricevuta.» 

Prende posto davanti al signor Bones quasi con alterigia e Dellavedova le si siede accanto, trasmettendole un inspiegabile senso di sicurezza. Ormai calata nella parte, e il seguito le esce con sorprendente sicurezza: «Ho bisogno del vostro aiuto per trovare una persona, signor Bones. Sono disposta a pagare, ovviamente, qualunque sia la parcella.»

Se la sua richiesta colpisce il detective, lui non lo dà a vedere. Annuisce, grattandosi il mento punteggiato dai segni di una rasatura eseguita alla svelta. «Thomas, prepara un tè alla signorina» dice. Indica le tazze sporche sul tavolo e Lizzie non riesce a fare a meno di storcere il naso. «Non serve, vi ringrazio» improvvisa, fermando Thomas prima che questi afferri le tazze. «Vado di fretta.»

Il detective fa un cenno e Dellavedova si risiede. «Capisco. Mi dica, allora. Di chi si tratta?» A quelle parole, Thomas estrae un taccuino dalla tasca della giacca e anche la lieve sensazione di conforto che Lizzie percepiva svanisce, non appena il giovane si cala nei panni del fedele apprendista.

Il raschiare della penna sulla carta diventa l’unico suono nella stanza e, questa volta, Lizzie ha bisogno di inspirare ed espirare più volte, prima che le parole arrivino alle labbra. «Mio fratello, Arthur. Non ho più sue notizie, e anche se viaggia spesso per lavoro e non ci sentiamo con costanza, non è da lui sparire per così tanto tempo. Deve essergli successo qualcosa.»

Il raschiare si blocca di colpo. «Ne siete certa?» È Thomas a fare la domanda e ciò sembra colpire anche il detective, che alza appena il sopracciglio.

Lizzie osserva il giovane con più attenzione, e non le sfugge il leggero tremore che si è impossessato della sua mano. Strano, pensa. Poco professionale. «Sì» risponde, incuriosita e un poco perplessa. Per un momento, ha quasi l’impressione che il volto di Dellavedova si faccia più pallido, ma poi la voce del signor Bones la distoglie da quello scrutinio. «Da quanto tempo non lo sentite?» 

«Tre settimane.»

«Non è un tempo poi così lungo. Potrebbe…»

«No. Le assicuro che non è da lui.» Ora l’incertezza sembra essere svanita del tutto e Lizzie percepisce una nuova fiducia guidare le sue parole. Sa che Arthur non l’avrebbe mai fatta preoccupare in quel modo. È una sua responsabilità far capire a quell’uomo che suo fratello è davvero nei guai. «C’è dell’altro. Mi ha mandato una lettera, l’ha spedita prima di partire ma è arrivata solo oggi. Dev’esserci stato un disguido postale, o almeno è questo che ha detto il corriere che me l’ha recapitata.»

«L’ha portata?»

Lizzie annuisce ed estrae dalla tasca una busta. Sul davanti spicca la sottile grafia del fratello, che pare aver vergato il suo indirizzo con una certa fretta. La porge al detective, che la apre e legge in silenzio il suo contenuto. Lei non ha bisogno di rileggerla, ricorda chiaramente le poche frasi che il fratello le ha lasciato:

Cara Lizzie, 

sto per imbarcarmi in un viaggio di lavoro, una delle ultime commesse fa acqua da tutte le parti e devo provvedere di persona. Ma ho motivo di pensare che potrebbero sorgere delle complicazioni. Se non hai mie notizie da qui a una settimana, devi recarti subito da un detective privato e assumerlo per ritrovare le mie tracce. Non rivolgerti alla polizia, loro non ti crederebbero. Ti lascio il biglietto da visita di un uomo capace, insieme a una chiave. Custodiscila fino al mio ritorno, è importante. Vorrei poterti dire di più, ma temo di metterti in pericolo. Devo chiederti di fidarti di me.

Ti voglio bene, sorellina.

Tuo, Artie.

Il signor Bones annuisce, tetro, poi allunga la lettera al suo assistente. «Siete in grado di riconoscere la sua grafia? Siete certa sia stata scritta di suo pugno?»

«Sì, ne sono sicura.»

«E la chiave? Quella a cui si riferisce vostro fratello?»

Per un attimo, Lizzie esita: è saggio mostrarla a due sconosciuti? Ma le parole di Arthur sono chiare, potrebbe davvero essere in pericolo. Estrae la chiave dalla tasca e la porge al detective, pregando in cuor suo di non commettere un errore. «È questa. E prima che me lo chiediate no, non apre nessuna porta né nessuna cassetta di sicurezza a casa di Arthur. Ho già controllato.»

Il detective si rigira la chiave tra le dita, facendo passare il polpastrello sul sottile cerchio dorato che ne decora l’impugnatura. Lizzie si aspetta quasi di vederlo rabbrividire a sua volta, ma Bones non dà segno di percepire l’innaturale freddo di quell’oggetto. «Capisco, la ringrazio.»

Le porge la chiave, e Lizzie si affretta a rimetterla in tasca, grata che il detective abbia compreso quanto per lei sia diventata importante.

«Ha idea di dove si sia recato? Le ha detto niente prima di partire?» È di nuovo Thomas a chiedere. Mentre le porge la lettera, sul suo viso ogni segno di turbamento sembra scomparso, e anche il tremore alle mani è cessato.

«No, Arthur non comunicava mai la meta dei suoi viaggi.»

Il signor Bones estrae un fiammifero dalla tasca e lo rigira tra le dita. «Di cosa si occupa vostro fratello?»

«È un agente di cambio. Non so in quale settore, però, non me l’ha mai detto.»

«Alcol.»

Lizzie si volta verso il giovane Dellavedova, confusa. «Come, scusi?»

Lui ha lo sguardo perso sulla scrivania e tamburella con la penna sul taccuino in modo irritante. Quando si rende conto di essere osservato, alza gli occhi e arrossisce appena. «Credo si occupi di compra-vendita di alcol, signorina.»

«Sta scherzando, vero? Mio fratello non infrangerebbe mai il divieto, lui…»

«Su che basi lo pensi, Thomas?» chiede il detective, che al contrario di Lizzie non pare sorpreso da quella teoria. Lei, dal canto suo, sente il sangue bruciarle nelle vene. Il mercato illecito di alcolici è l’ultimo scenario nel quale le piacerebbe immaginare Arthur.

Dellavedova ha ancora lo sguardo vacuo ma ora, quando la guarda, Lizzie percepisce che la sua mente è impegnata in qualcosa di grosso. Qualcosa che le fa drizzare i peli sulle braccia al solo pensiero, anche sotto gli strati di lana del maglione e del cappotto.

«La prima frase della lettera: una commessa che fa acqua da tutte le parti. È un’espressione che Arthur usava spesso? Qualcosa che faceva parte del suo modo di parlare?»

«Non mi pare, no.»

«Come temevo.» Thomas sospira e si accascia sulla sedia. «Vedete, signorina… prima di lavorare qui ho studiato qualche caso della polizia, e quell’espressione compare in molti fascicoli. Sempre collegata al traffico di alcolici. Credo che sia un codice per riferirsi a una partita di alcol, una partita bella grossa. E se ho ragione, beh… Arthur potrebbe essersi infilato in qualcosa di ben più grosso di quanto immaginiate.»

Il volto del detective si fa più scuro. «Grosso quanto, Thomas?»

Dellavedova esita, e la sua reticenza è l’ultimo tassello di cui Lizzie ha bisogno per comprendere. C’è solo un uomo, in città, che può collegare la sparizione di Arthur al commercio illegale; un uomo che può giustificare l’espressione tetra e rassegnata di Dellavedova. Perfino lei, che ha vissuto metà della sua esistenza dentro una biblioteca, sa che da qualche anno a questa parte la vendita di alcol sottobanco è tutta in mano a un solo individuo. Una figura che è quasi una leggenda, una di quelle storie che si raccontano ai bambini per costringerli a mettersi a letto senza lamentarsi. Tutti ad Atlantic City sanno chi è, ma nessuno è mai stato in grado di dimostrare che c’è lui dietro le morti misteriose e le azioni violente che invadono le strade.

Prima di poterlo fermare, il nome raggiunge le sue labbra, anticipando la risposta di Thomas; e benché Lizzie lo sussurri appena, ha la potenza di una cannonata, che infrange il silenzio freddo ed etereo in cui è calata la stanza. «Vi prego, ditemi che non c’entra Anthony Falcone.»

Racconto Not the End
divisore

Questo racconto nasce come prequel a una mini campagna giocata in live su Twitch insieme a Claudio Pustorino, autore del GdR Not the End. Fu pubblicata inizialmente su storiedagdr, blog ora chiuso, e la riproponiamo qui perché non si perda nell’oblio di Internet.

Trama della sessione di Not the End a cui si ispira questo racconto

Atlantic City, 1922. Pare che in città sia rimasto qualcuno con abbastanza fegato da ficcare il naso negli affari di Anthony Falcone. Un uomo che devolve più soldi in beneficenza di chiunque, che ha contatti con il governo, la polizia e perfino il vescovo. Mezza città gli deve favori e l’altra metà sa che non deve pestargli i piedi, se non vuole trovarsi ad indossare un vestito di legno su misura, letteralmente all’ultimo grido. Un manipolo di detective improvvisati sta per ficcarsi in un guaio molto, molto più grande di loro, e dovrà fronteggiare la verità che si cela oltre lo specchio. Questa non è la fine.

Denise on FacebookDenise on InstagramDenise on Linkedin
Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.