Racconti, Scrittura

Tanti corpi, un solo battito – Sartiglia 2

Quando lo stivale nero oltrepassò il vecchio uscio in legno, la ragazza alzò lo sguardo verso il cielo grigio che iniziava a virare al nero. L’aria era satura di umidità, e le nubi che oscuravano il sole ormai morente promettevano di scaricare nuovamente il loro fardello sul terreno bagnato. Si tirò il cappuccio della giacca sopra la testa e iniziò a camminare velocemente a testa china, ascoltando il battere costante degli stivaletti sull’asfalto. Le ci volle poco per superare la zona scarsamente trafficata dove viveva e iniziare a sentire il vociare della massa di persone radunata al centro della città; prima di entrare tra i vicoli più frequentati, svoltò alla sua sinistra, e si inoltrò nel dedalo di vicoletti dalle basse case, molto più silenziosi e tranquilli.

La calma tanto ricercata però durò poco, e dopo alcuni minuti fu costretta ad arrendersi e a farsi largo tra la folla chiassosa che bloccava l’accesso; la Sartiglia era finita da almeno un’ora, era stata molto attenta a questo dettaglio, ma continuavano ad esserci numerosi gruppi di ragazzi mascherati e di donne e uomini festanti che occupavano le strade, costringendola a deviare più volte il cammino per evitare di essere spintonata.

Alla fine vinse la sfida e si trovò ad oltrepassare la strada insabbiata, che ormai era diventata fastidiosamente fangosa, per mettere finalmente piede nella piazza della cattedrale. Superò le tribune ormai desolantemente vuote e s’immerse in un nuovo tipo di folla, questa volta molto più gradito. Ad accoglierla, una piazza gremita di giovani di tutte le età, dai novellini tredicenni, ai più stagionati e fedeli frequentatori del Duomo, divisi in numerosi gruppi, ognuno padrone di un angolo prescelto. Il suo gruppo l’attendeva accanto all’accesso ai giardini privati del convento, una mezza dozzina di metallari seduti scompostamente sulle aiuole, con un’immancabile bottiglia in mano, e un’altra decina in piedi e in continuo movimento, anch’essi corredati di bottiglie.

Al suo arrivo, una delle poche ragazze del gruppo corse a salutarla con un abbraccio, saturando le sue narici con l’effluvio di un pessimo miscuglio di alcol a buon mercato e pestandole maldestramente i piedi nel tentativo di raggiungerla.

“Cazzo Robi, sono solo le sei, e già stai conciata in questo modo?” fu l’allegro saluto della nuova arrivata.
La ragazza dai corti capelli castani e dal piccolo viso rotondo si staccò dalla stretta e rispose con un largo sorriso storto e un cordiale:

“Sei sempre la solita stronza”.

“E tu la solita troia.”
L’altra fece spallucce, mettendo in mostra i larghi seni compressi da un corpetto viola decisamente sotto misura, e rassettandosi la corta gonna in tulle nero, per poi ridirigersi imperturbabile verso il gruppo e soprattutto verso le bottiglie abbandonate poco prima.

“Ehi bionda, hai deciso di travestirti da Jessica Jones anche quest’anno?”.

Uno dei ragazzi accomodati sul bordo dell’aiuola si era alzato, per avvicinarsi alla ragazza ancora in piedi, e ora le porgeva una Ichnusa vuota per metà, mentre scostava una ciocca di capelli scuri e disordinati dagli occhi.

“Grazie, e te l’ho già detto, non chiamarmi bionda” fu l’unica frase che precedette una lunga sorsata del fresco liquido amaro. Lo sguardo della ragazza si posò poi rapidamente sul suo interlocutore, scannerizò i familiari tratti marcati del viso e si soffermò sugli occhi sinceri e profondi, trovando per un momento un porto sicuro dove nascondersi. Ma l’attimo di debolezza fu breve, e le barriere vennero rialzate alla svelta, prima che qualsiasi indizio potesse trapelare.

“Comunque scherzavo poco fa, il look all’antieroina misantropa ti dona parecchio, sai?” ruppe nuovamente il silenzio lui, prima di riprendersi la bottiglia ormai esaurita per depositarla sull’asfalto ai suoi piedi. “Sicura che non ti abbiano copiata quelli della Netflix? Fossi in te chiederei i diritti, e mi farei ricca; poi scapperei su un’isola deserta, ricordandomi ovviamente di portare il mio migliore amico, e direi per sempre addio all’università, alle responsabilità e alla fatica.”

“Un ottimo piano il tuo. Tranne per un dettaglio. Non ti porterei con me neanche morta, non mi rovinerai mai la pace in questo modo.”

“Che simpatica. Come una vipera velenosa.”

“Lo sai che è tutto amore il mio.”

“Certo, mi ami tanto da non poter vivere senza di me.”

“Ne sei sicuro? Possiamo sempre provare. Ti faccio fuori e poi vedo se mi vengono i sensi di colpa. Pronto?” e l’ultima parola accompagnò un pugno diretto al mento dell’altro; questi imperturbabile lo bloccò a mezz’aria con il palmo aperto, ridendo di gusto per lo sguardo determinato di quello scricciolo dalla personalità insondabile. Per un attimo ebbe quasi il dubbio che la ragazza avrebbe realmente portato a termine quello che prometteva pur di levarselo dai piedi, ma poi il sorriso che le vide comparire di sfuggita fugò i suoi dubbi.
Un richiamo a più voci dal gruppo li spinse a riavvicinarsi, e a farsi coinvolgere dalla discussione in corso, una sfida aperta tra i sostenitori di Breaking Bad e True Detective, per la scelta della serie migliore dell’ultimo periodo.

Prima di immergersi nell’accesa disputa, i pensieri della ragazza e il suo sguardo corsero nuovamente all’esuberante ragazzo al suo fianco, che la superava di almeno una spanna e che conosceva da quando erano piccolissimi. Di lui aveva sempre apprezzato la schiettezza, la sincerità, l’altruismo e la gioia di vivere, così distanti dal suo carattere; nell’ultimo periodo anche la sua passione per ciò che studiava, la fisica, l’aveva travolta, e poteva a stare ore a sentirlo parlare di questa o quella teoria in cui si era imbattuto, mentre gli occhi gli si illuminavano di curiosità e gioia allo stato puro.
Lei in confronto, aveva le idee talmente confuse da non riuscire a distinguere cosa volesse fare, come se una pesante nebbia si fosse abbattuta sul suo cervello e le impedisse di mettere ordine tra i pensieri. Per il momento preferiva quindi non pensarci, e lasciarsi trascinare dagli eventi, sperando in un lampo folgorante che le chiarisse cosa fare di sé e del suo futuro.

Lo stesso sentimento di dubbio e paura, lo riservava al rapporto con il ragazzo al suo fianco; considerarlo ancora solo un amico era un buon modo per non doversi interrogare di quelle piccole fitte, improvvise e indesiderate, che le prendevano allo stomaco quando lo sguardo di lui incrociava il suo. Fingeva e andava avanti giorno dopo giorno, aspettando con celata trepidazione che lui rientrasse nella loro città natale per le vacanze; e nascondeva a tutti, compresa sé stessa, la gioia pura che la prendeva quando finalmente lo trovava lì, in mezzo agli altri. Si concesse solo un attimo per pensare a quel “se” che tanto agognava e nascondeva, ma poi si riscosse, per rinserirsi nell’atmosfera chiassosa del presente.

Dopo alcune ore, forse spinta dal freddo sempre più pungente, forse riscaldata dall’alcol in corpo, o dall’euforia della festa che stava terminando, la moltitudine di gruppi sparsi per le gradinate e la discesa della cattadrale iniziò a fondersi in un’unica entità al centro della piazza, e la vera festa, quella che tutti aspettavano davvero, iniziò.

La ragazza non sapeva descrivere la sensazione di pace e condivisione che solo in quel posto, in quel preciso momento, ogni anno riusciva a provare. L’essere immersi tra volti sconosciuti ed esaltati, trascinati in un vortice di colore, allegria, risate, insulti e festeggiamenti. La vera Sartiglia, la vera festa, per lei era sempre stata lì; nessun interesse per i cavalli che scendevano al galoppo con i muscoli tesi in quella stretta strada sabbiosa; nessuna emozione per le urla di gioia che si alzavano quando il ferro entrava perfettamente nel piccolo cerchio della luminosa stella di metallo. Aspettava con trepidazione questo giorno, ogni anno, per sentirsi parte di qualcosa che riteneva di incommensurabile valore; il sentirsi appartenere, anche solo per una notte, ad un’umanità sudata, ubriaca, disordinata certo, ma viva, pulsante, satura di energia e di una sorta di magia.

Il suo cuore a poco a poco prese a battere al ritmo dei canti che si sollevavano sulla piazza, mentre ballava con gente che non aveva mai visto se non di sfuggita, e parlava di tutto e di niente con quella quantità di personalità diverse eppure così simili ed affascinanti.

Preda com’era di quel vortice irresistibile, non si era accorta che il suo amico era rimasto al suo fianco ogni singolo momento, schiavo di quel sorriso sincero, di quella vitalità che le vedeva nascere, così poco conosciuti in quel viso sempre serio e pallido, ma così preziosi da riscaldarlo. Ed era così presa da quella gioia, che quasi non si accorse della mano di lui sul suo gomito, finché non si sentì tirare, e si ritrovò tra le sue braccia.
Prima che potesse dire qualsiasi cosa, prima che potesse svincolarsi, o chiedere spiegazioni, sentì le labbra di lui sulla sue, senza quasi percepire il suo viso che si spostava.

Fu allora che intorno a lei i suoni svanirono, i visi sfumarono in un’onda di colori indistinti, mentre una sola lacrima di gioia solcava la sua guancia. Non si chiese perché, non cercò di capire il significato di quel gesto, le promesse che portava con sé e che lei aspettava da anni. Si lasciò semplicemente travolgere dal sentimento fino ad allora sopito, e si strinse a lui.
Fermi in mezzo a quella piazza gremita di ragazzi in festa, i due sentirono per la prima volta di poter essere uno, e si fusero in quella massa indistinta fino a perdere ogni cognizione di tempo e di spazio. Qualcuno li notò, qualcun altro li scansò per non urtarli nel suo ballo, ma nessuno, nemmeno i due ragazzi, seppe dire in seguito per quanto tempo rimasero stretti l’uno all’altro.

 


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Denise
Femminista, appassionata di lettura e scrittura, è cresciuta con un libro in mano e la testa immersa nelle storie. Studia Informatica Umanistica presso l’Università di Pisa e lavora come segretaria alla Casa della Donna. Nel tempo libero, impara a creare nuove storie.

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