Dopo aver letto e recensito “Il Creasogni“, libro d’esordio di Simone Toscano, ho avuto la possibilità di fargli questa breve intervista, che vi consiglio di leggere. Non è facile trasmettere forti emozioni con le parole, ma Simone riesce a dimostrare questa sua grande capacità anche tramite quest’intervista!
– Ciao Simone e grazie per la tua disponibilità a questa chiacchierata. Il tuo libro, “Il Creasogni” è stata una lettura che mi ha colpito molto. Essendo il tuo primo libro ti va di presentarti ai nostri lettori?
Con piacere! Mi chiamo Simone Toscano, ho 33 anni, nella vita faccio il giornalista. Il mestiere che – appunto – sognavo di fare fin da bambino. Lavoro a Mediaset da dieci anni oramai (sono entrato con uno stage e non me ne sono più andato) e, insomma, con le parole ci vivo, mi piace giocarci, mi affascinano.
– Come ti sei avvicinato al mondo della scrittura e come è nata l’idea del Creasogni? Ci sono letture che ti hanno ispirato?
No, non c’è una lettura che mi ha ispirato. Il libro è nato – in prima battuta – durante un viaggio di ritorno da una trasferta di lavoro nel periodo post terremoto in Abruzzo. Non ricordo bene se la notte precedente avessi sognato questo personaggio o meno, ma ricordo esattamente di quando, in macchina, mi venne in mente qualche dettaglio in più. Pensai a qualche personaggio. Arrivato a casa scrissi i primi due capitoli, che rimasero nel cassetto per qualche anno, perché mi mancava la trama. Poi ripresi il libro dopo qualche anno, in seguito ad una delusione d’amore. è un romanzo nato per riconquistare quell’amore. Tutto, nella trama, ora lo posso dire, è una allegoria di quella storia: le persone, i luoghi, tutto. Ovviamente con il tempo e i nuovi “passaggi” molto è cambiato dalla prima stesura. Ora è un libro differente, però è nato con quello scopo. Anche se, mentre lo scrivevo, il mio lavoro e le emozioni, i personaggi che ho incontrato in questi anni, sono entrati di prepotenza tra le pagine.
– Nel tuo romanzo viene rimarcata spesso l’importanza dei sogni, ma c’è stato un periodo nella vita di Ettore, il protagonista, in cui li reputava inutili, che importanza hanno invece nella tua vita?
I sogni sono fondamentali. Sogno e gioco sono due parole che mi affascinano, legate ad un pensiero chiaro: bisogna sempre rimanere un po’bambini, mantenendo quello sguardo sul mondo semplice e diretto che ce li fa ammirare e ci stupisce ogni volta. Ho sempre avuto tanti sogni, molti per fortuna li ho realizzati, altri sono arrivati. Sogni da intendere come obiettivi positivi. Sogno è una parola “positiva”, una delle poche parole che non possono essere declinate al negativo, a parte “brutto sogno”. Un sogno negativo assume una forma diversa, si chiama con un altro termine: è un incubo. Mi affascina questa cosa.
– Parlaci un po’ di, Ettore, quanto c’è di te nella sua personalità?
Tantissimo. Ettore compie un percorso specifico, all’interno del libro. è un uomo che per una serie di ragioni si è distaccato per un periodo della sua vita dal sognare in prima persona, pur potendo creare sogni per gli altri. Pagina dopo pagina riscoprirà l’importanza dei sogni, di quelle emozioni. Si scrollerà di dosso i fardelli della vita, le sovrastrutture che si accumulano con i problemi quotidiani. Tornerà agli affetti.
– Hai lasciato la storia dell’antagonista molto fumosa, c’è un motivo dietro questa scelta?
C’è una scelta molto chiara. Gli antagonisti arrivano nella seconda parte del romanzo, quella che corre di più, in cui le pagine volano via (spero) una dopo l’altra. Non volevo interrompere questo flusso. E in più ho sempre pensato che alcune figure debbano essere tratteggiate appena, mi piaceva l’idea di trasmettere “emozioni” e sensazioni provocate da quegli antagonisti, ma senza delinearne con troppi dettagli la figura, cosicché ognuno potesse dargli le sembianze del proprio “nemico”. L’importante è che siano arrivate le sensazioni negative trasmessi da alcune occhiatacce, da alcune frasi taglienti. Sono quelle, a servire, non il sapere il colore degli occhi o il passato di quella persona. Anche perché, vorrei lasciare qualcosa per un eventuale seguito, eheheh.
– Nel Creasogni molte strade restano aperte, una scelta che potrebbe in parte disorientare ma anche dare la possibilità di personalizzare la storia, era un effetto voluto?
Come per la domanda precedente: sì, volutissimo. Ne abbiamo discusso anche in casa editrice. Facciamo il caso della creazione dei sogni. Prima era ancora più “aperta”, si accennava appena. Poi abbiamo aggiunto alcuni particolari. Mi spiego: non pensate che sarebbe banale e piatto provare a descrivere nel dettaglio il processo di creazione dei sogni? I sogni nascono in un “apparato immaginante”, tra gli occhi e il cervello, si fondono e lavorano con le emozioni. Come si può fare una descrizione fisica delle emozioni. Pensiamo al tatto: descrivere il tatto e i brividi che può dare una carezza, rischierebbe di allontanarci dalla sensazione vera e propria. Meglio – secondo me – lanciare delle suggestioni. Dei puntini da unire. Io ti do i puntini, ma l’emozione di unirli sta a te, lettore.
– Hai scritto un libro che predilige i sentimenti alle altre descrizioni, come mai?
Della genesi del libro ho parlato prima. Ho parlato di sentimenti perché da un sentimento è nata la trama. E perché solo davanti ai sentimenti, ad un trauma – come la scomparsa di Catello, il bambino che vive con il protagonista – si riscopre la vita, ci si mette in gioco. E sono i sentimenti a farci sentire vivi. A donare ad ogni istante un battito vitale.
– Visto questa predominanza del lato emotivo nel Creasogni, quali sono le sensazioni che vorresti si provassero nella lettura del tuo romanzo?
Vorrei che di tanto in tanto si chiudesse il libro per un attimo e si pensasse “Ecco! è vero, come ho fatto a perdere di vista questo modo di guardare il mondo? I problemi della vita quotidiana mi hanno allontanato dalle emozioni più semplici, forse dovrei ritornare a godermi quello che mi circonda. Dovrei dare un abbraccio, se penso di volere bene ad una persona. Dovrei sorridere, se sono felice. Dovrei dire le cose come stanno”. So che può sembrare banale, smielato, ma spero di aver trasmesso questo messaggio tra le righe nel libro in maniera tutt’altro che banale.
– C’è qualche altro particolare del libro di cui vorresti parlarci?
Beh, volevo parlare del termine “piovenica” a cui sono molto legato: piovenica è una domenica di pioggia. E’ proprio la domenica – il giorno del riposo, il giorno in cui siamo liberi di pensare – il momento in cui, se si hanno dei problemi, questi vengono fuori tutti assieme, d’improvviso. Quando si sente la mancanza di qualcosa o qualcuno a noi caro? Nei giorni di festa, soprattutto. E nei giorni in cui non si ha niente da fare. Per questo a volte la domenica può diventare un giorno difficile, difficilissimo, quando si ha un problema: è un giorno in cui piove, fuori e dentro di noi. Un giorno che non si vede l’ora finisca. Ecco, questa è la piovenica. Ed Ettore ne vivrà tante, di pioveniche, finché non avrà sistemato i conti con se stesso, con la sua “pioggia interiore”. Finché non smetterà di piovere.
– Hai qualche altro progetto letterario per il futuro?
Molti. Alcuni riguardano il mio lavoro, la Cronaca. E poi ho iniziato la biografia di una mia carissima amica che vive una situazione di salute molto particolare. Per me è un esempio di vita, vorrei gridare al mondo quello che ha fatto, che ha vissuto, il suo modo di affrontare il mondo. Poi chissà, magari scriverò anche altri libri, un secondo capitolo del Creasogni, o un libro nato all’istante. Staremo a vedere, il bello deve ancora incominciare.
Grazie per averci dedicato il tuo tempo e speriamo di poter presto risentir parlare di te!