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Recensione Artemis di Andy Weir


Sono pochi i libri che posso dire mi siano rimasti impressi a fuoco nella mente; solitamente, a distanza di mesi dal una lettura che mi era piaciuta particolarmente, fatico a rammentarne i dettagli, limitandomi a una vaga impressione positiva dei personaggi e della successione di eventi. A volte però, alcuni di questi romanzi restano perfettamente chiari, in molti dei loro aspetti, anche dopo mesi dalla loro lettura.
Sono solitamente storie particolari, che magari hanno avuto il pregio di raccontare qualcosa che non avevo ancora incontrato, o con protagonisti così caratteristici da lasciare un’impronta.
Questo è stato il caso del primo romanzo di Andy Weir, il celebre The Martian, arrivato anche al cinema con Matt Daemon ad interpretare il fantastico Mark Whatney, astronauta rimasto solo su Marte, che deve ingegnarsi per sopravvivere all’ostile pianeta che tollera a stento la presenza umana.
Senza dubbio, buona parte del pregio di The Martian era la sua fortissima componente scientifica, quella tendenza a motivare dettagliatamente ogni scelta e azione dell’astronauta, ma non sarebbe stato lo stesso romanzo se non ci fosse stato un protagonista come Whatney; era la sua voce a creare tutto il fascino di quella lettura, la sua incredibile vena umoristica, la capacità di vedere in modo ottimistico qualsiasi evento, anche negativo, e la tempra nel non abbattersi mai, sotto qualunque avversità.
Di The Martian, a mesi di distanza, mi era rimasto soprattutto Mark, quindi è proprio con quella voce in mente, che ho iniziato la lettura di Artemis, il nuovo romanzo dell’autore. Probabilmente questo si è rivelato il mio errore più grosso: iniziare la lettura di questo volume con ancora perfettamente in mente lo scorso, mi ha spinta a ricercarne gli stessi elementi che avevo adorato della prima lettura, trovandoli purtroppo solo in parte.

Già dall’ambientazione, le similitudini tra i due volumi ci sono, ma sono limitate; se The Martian ci portava su una Marte desolata e inospitale, Artemis ci porta sul primo insediamento sulla Luna, dove gli esseri umani vivono da molti anni sotto cupole altamente resistenti, in quella che è diventata a tutti gli effetti una città a sé stante. Il pianeta esterno è ancora ostile, e con un’alta tendenza a eliminare qualunque essere umano vi ci si inoltri sprovvedutamente, ma per il resto la nostra razza è riuscita a dominare la Luna, rendendola un luogo sufficientemente ospitale dove vivere.
Dentro le cupole della città, la vita scorre in modo regolare, in un buon compromesso tra l’esistenza terrestre alla quale siamo abituati, e le esigenze di una vita su un satellite come la luna. Siamo dunque molto distanti dai travagli patiti dall’astronanauta su Marte, ma questo in realtà non è un male; se mancano quegli elementi di sopravvivenza che avevano caratterizzato The Martian, qui è però affascinante vedere come Weir si sia impegnato nella creazione di un insediamento sulla luna, dedicandosi con minuzia a ogni particolare, per riuscire a spiegare scientificamente la possibilità di ciò che ha inventato.
E come in The Martian, si ingegna per mostrare e spiegare al lettore la verosimiglianza di ogni scelta scientifica fatta, dalla costruzione delle cupole, al sostentamento di coloro che ci vivono. Come vi dicevo, è questa una delle caratteristiche chiave dei romanzi di questo autore, e chi giunge ad Artemis dopo il primo romanzo, ritrova esattamente la stessa dovizia di particolari, la stessa cura e lo stesso rigore che aveva amato nel precedente.
Il fatto poi che a narrare gli eventi sia sempre una persona esperta di scienza e tecnologia, come con Mark, ci permette non solo di vedere, ma anche di sapere il perché di molti elementi di Artemis, come anche delle azioni che il personaggio stesso compie nel corso del romanzo.
La nostra protagonista, Jazz Bashara, ci parla in prima persona, e l’interazione con lei e i suoi pensieri è dunque massima: sappiamo il perché di ciò che fa, e anche i ragionamenti che compie; Weir sfrutta in modo magistrale questa forma narrativa, lasciando che sia il suo personaggio a raccontarci com’è vivere sulla Luna, quali scelte sono state fatte per permettere all’umanità di abitarvi e il perché di ogni azione che viene compiuta durante il romanzo.

Le azioni di Jazz, contrabandiera che si trova suo malgrado coinvolta in due omicidi, imbastiscono una trama che non delude e anzi, riesce a coinvolgere il lettore in una successione di eventi emozionanti, ben lontani dal primo volume certo, ma in questo senso nuovi ed interessanti. Ogni cosa che accade su Artemis è particolare ma ha una spiegazione, che Weir ci fornisce tramite la stessa Jazz, o attraverso alcuni comprimari che le ruotano intorno, e che contibuiscono a dare informazioni al lettore, riuscendo al contempo a non appesantire mai lo scorrere della trama.
Ci troviamo nostro malgrado coinvolti dalle disavventure della ragazza, e seguiamo con curiosità e attenzione il modo in cui si barcamena tra fughe roccambolesche dentro le cupole, uscite all’aperto non autorizzate con le tute eva e piani ben congeniati per salvare gli abitanti della luna.
Il ritmo narrativo mantenuto da Weir è un abilissimo crescendo, che si prende tempo all’inizio per farci respirare l’aria di Artemis e farci sentire parte di essa, per poi accelerare in un roccambolesco tornado di eventi, esplosioni, corse disperate e combattimenti a gravità ridotta.

Ma allora, vi starete chiedendo, se il problema non sono né la trama, né l’ambientazione, dov’è che Artemis non regge il paragone con il suo predecessore? Be’, purtroppo proprio nella stessa Jazz. Se Mark era stato, per me, un amico e compagno di avventure del quale avrei continuato a leggere ancora, e ancora, Jazz si è rivelata una spina nel fianco difficilmente sopportabile. Il suo carattere è ostico, ruvido e grezzo, e purtroppo ho provato antipatia per lei fin dal principio. Sarebbe stato lo stesso, immagino, se non avessi letto The Martian, ma l’averlo fatto mi ha spinta a paragonare i due personaggi, ricercando Mark in lei, ma non riuscendo a trovarlo praticamente mai, aumentando la frustrazione in lettura. Mi sarei potuta adattare però, magari avrei trovato altri elementi caratteriali ai quali affezionarmi, se Weir avesse creato un personaggio diverso da Mark ma con lo stesso carisma e la stessa capacità di farti affezionare, ma Jazz è proprio tutt’altro.
È saccente in modo non simpatico, presentuosa e fin troppo certa delle sue capacità; conosce molte cose, ma non perché si sia mai applicata a fondo, semplicemente perché ha un talento innato, e un’ottima memoria fotografica. E non lo nasconde, anzi, te lo sbatte in faccia continuamente.
Per questo romanzo, Weir ha creato la perfetta donna irritantemente indipendente, l’emblema di quel femminismo finto di cui spesso ci riempiamo tutti la bocca: è libera, autonoma, vuole autodeterminarsi e dimostrare a se stessa, e agli altri, che può essere ciò che vuole (il che, non fraintendetemi, è una cosa che normalmente adoro nei personaggi femminili), ma lo fa con arroganza e supponenza, calpestando quelli che incontra, incurante dei loro sentimenti, e soprattutto delle loro opinioni.
È il classico esempio di donna-tank, quella tipologia femminile, spesso presente nei romanzi scritti, ahimé da uomini, che cerca di emulare l’uomo equivalendolo in capacità ad esempio scientifiche, ma passando sopra a tutto il resto, come se non si potesse concepire una donna sveglia e intelligente e al contempo umana.
Non voglio dire, con questo, che ritengo Weir incapace di rappresentare una donna del genere, perché non ho alcun diritto di dirlo, e non posso sapere se questa è stata una scelta ragionata e non un limite dello scrittore. Ma se lo è stata, critico aspramente la scelta, perché è l’unico vero lato negativo di questo romanzo. Avrebbe potuto raggiungere la perfezione, se al posto di Jazz ci fosse stata un altro personaggio femminile, altrettanto capace (e che magari non ti sbattesse continuamente in faccia il fatto di sapere tutto senza sforzo, perché diciamolo, non fa piacere a nessuno, ma irrita ancora di più quando insulti dalla mattina alla sera dietro a formule e calcoli) ma che non fosse anche la tipica mangiatrice di uomini che ha creato Weir.
Avrei apprezzato la possibilità di rivedermi nella protagonista, e di sentire dunque affinità con lei e con le sue decisioni com’era successo con Mark, perché avrei vissuto in modo ancora più intenso questa lettura; invece sono rimasta leggermente discosta dal resto, spettatrice di una rappresentazione incredibilmente interessante, ma recitata da attori scarsi e poco carismatici. E fatico a credere, onestamente, che qualcuno sia riuscito a immedesimarsi in lei, uomo o donna che fosse il lettore in questione; immagino che chiunque, davanti a un personaggio che ti sbatte continuamente in faccia quanto è capace, e sveglio, e intelligente, e bello, e carismatico, abbia estrema difficoltà a trovarci un punto di contatto.
O almeno, lo voglio sperare.

In ogni caso, se mi accanisco così tanto contro Jazz, e proprio perché per il resto, Artemis è stata una lettura veramente notevole, che è riuscita a prendermi nonostante la barriera del personaggio. Una lettura che vi consiglio, soprattutto, se ricercate nella fantascienza anche l’approfondimento scientifico e la spiegazione minuziosa e dettagliata di ogni invenzione fatta dall’autore.
In questo, Weir si rinconferma un vero maestro.




Trama:
Jazz Bashara è una criminale. O qualcosa di molto simile. La vita su Artemis – la prima città costruita sulla Luna – può essere davvero difficile a meno di non essere molto ricchi. Ma Jazz non ha un sostanzioso conto in banca e si deve barcamenare tra piccole truffe e affari di contrabbando, visto che con il suo stipendio ufficiale riesce a malapena a pagare l’affitto. Per di più, ha dei progetti ambiziosi e per realizzarli le serve del denaro. Un bel po’ di denaro. Così, quando le si presenta l’opportunità di mettere a segno un grosso colpo che le consentirebbe di sistemarsi una volta per tutte, Jazz, nonostante gli evidenti rischi, decide di non tirarsi indietro. La ricompensa è una cifra da capogiro, ma l’impresa si rivela più pericolosa del previsto e lei si ritrova invischiata in una spirale di intrighi e cospirazioni letali. E a quel punto la sua unica possibilità di salvezza sarà rischiare il tutto per tutto, ben sapendo che in gioco non ci sono solo i suoi sogni di riscatto, ma il destino stesso di Artemis…

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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.

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