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Recensione I pirati dell’oceano rosso di Scott Lynch

Continua il nostro viaggio nel mondo di Scott Lynch e del suo affascinante, geniale e parecchio complessato Locke Lamora. Con I pirati dell’oceano rosso, protagonista di questa seconda recensione, Lynch ci porta nel cuore del Mar d’Ottone, alle prese con nuovi intrighi politici, furti clamorosi e, udite udite, pirati.

Che un ladro di terra, abile nei raggiri e nelle truffe ai ricconi cittadini, diventi un pirata e già di per sé un evento clamoroso. Ma se poi al gioco aggiungiamo una truffa, dentro una truffa, dentro un’altra truffa (com’è ormai nello stile di Scott Lynch) il risultato è ancora più intrigante.

Trama

Gli eventi che hanno coinvolto Capa Barsavi, il Re Grigio e i nostri Bastardi Galantuomini sono terminati da circa due anni, durante i quali i nostri Locke e Jean si sono dati a una nuova truffa (o a più di una contemporaneamente, com’è nel loro stile). La loro preda principale, a questo giro, è il più grande casinò di Tal Verrar, costruito sull’impenetrabile torre di Peccapicco e posseduto da un uomo che con il suo denaro controlla mezza città.

Peccato però che, anche a questo giro, qualcuno abbia piani molto diversi per Locke e Jean; che si trovano loro malgrado imbarcati su una nave e costretti a fingersi pirati senza scrupoli e senza bandiera (tranne quella rossa, che devono sventolare simulando una sicurezza in mare che non possiedono affatto).

Lynch intanto apre il volume con il botto e ci mostra Locke, in un punto imprecisato della storia, alle prese con una balestra puntata addosso da una direzione che non si sarebbe mai aspettato. Come siamo arrivati a questo punto? Non resta che inoltrarsi in questo secondo capitolo e lasciarsi guidare ancora una volta avanti e indietro nei mari del tempo.

I pirati dell'oceano rosso
Copertina della nuova edizione | Recensione I pirati dell’oceano rosso

Recensione I pirati dell’oceano rosso

A leggere il titolo di questo secondo volume (almeno quello italiano) uno penserebbe che i pirati siano il fulcro delle nuove avventure dei Bastardi Galantuomini. Eppure, prologo a parte, la scena si apre a terra, per la precisione dentro un casinò.

Scott Lynch si diverte a mostrarci Jean e Locke come degli agenti di Ocean’s. Infiltratisi tra i tavoli da gioco e abilissimi, come sempre, a perpetrare i loro inganni a spese dei ricchi più ingenui, i due stanno tessendo le loro trame allo scopo di svaligiare il deposito di Peccapicco. E la cosa sembra procedere particolarmente bene, visto che i due riescono perfino a convincere Requin, il ricco proprietario della torre, che necessiti dei loro servigi per difendersi dalle future truffe eventuali.

Almeno finché non compare sulla scena Stragos, l’Arconte di Tal Verrar. Da questo momento in poi, per i due Bastardi cominciano i problemi, quelli pluridannatamente seri. Problemi che hanno molto a che fare con un veleno, con un gioco di ricatti e con una sfida che sembra al di là delle loro possibilità.

Cosa ne può sapere un terricolo, d’altronde, di come si solcano i mari?

Di naufragi, pirati e gattini

La risposta è molto poco, almeno quando si parla di Locke e Jean. Vi dico solo che i due riescono a incorrere in una morte naturale abbastanza inopportuna, in un naufragio, un conseguente ammutinamento e un abbordaggio solo nelle prime settimane di navigazione. E tutto, perché si dimenticano i gattini a terra.

Lo so, lo so, vi sento da laggiù. Vi state chiedendo che diamine c’entrano i gattini. Be’, dovete sapere che nel mondo di Lynch i marinai sono superstiziosi quasi quanto nel nostro (o forse di più, dipende dai punti di vista) e sono due le cose senza le quali non si imbarcano mai.

Le donne e i gattini. Se non puoi avere la prima, cosa già di per sé sconveniente ma ehi, può capitare, allora la seconda è assolutamente e decisamente imperante.

E quando il sedicente capitano esperto dimentica i gattini… be’, l’equipaggio non è affatto contento.

Ma i pirati? Quando arrivano i veri pirati?

Più o meno qui, quando i nostri due sono decisamente malmessi, e solo il Disonesto Tutore sa quanto sono fortunati quando si presentano. Issati a bordo dell’Orchidea Velenosa, Jean e Locke sono costretti a imparare alla svelta la vita dei pirati e la cosa, a dirla tutta, si rivela tutt’altro che sgradevole.

La ciurma dell’Orchidea Velenosa

Zamira Drakasha
Zamira Drakasha, art by rabbitinheadlights.tumblr.com
| Recensione I pirati dell’oceano rosso

Possiamo dire, senza ombra di dubbio, che l’Orchidea Velenosa e il suo equipaggio sono la parte più intrigante dell’intero romanzo. E non è un caso, d’altronde il libro ha un titolo che coinvolge il mare e i pirati per un motivo, nonostante le prime 200-300 pagine facciano pensare il contrario.

Zamira Drakasha, Ezri Dalmasio e la loro ciurma sono vividi al punto che non si riesce proprio a non affezionarsi a loro. Stravaganti, intrepidi, volgari ma capaci di intense emozioni e altrettanto intensi sentimenti, i pirati di Lynch sono a dir poco spettacolari. Ammetto di essermi dispiaciuta ogni volta che Locke e Jean scendevano a terra, benché anche le azioni a Tal Verrar fossero interessanti.

La verità è che adoro le storie di pirati, adoro le battaglie in mare e le meccaniche che si innescano su un ponte circondato solo da un’immensa distesa d’acqua. E anche se sono un po’ allergica ai termini marinareschi (che qui comunque Lynch rielabora con un certo stile per adattarli alla parlata del suo mondo), nulla toglie che sono una vera e propria appassionata del genere.

E che mi sono divertita da matti a vedere i Bastardi alle prese con uno stile di vita completamente nuovo ma stravagante quasi quanto il loro.

La truffa, dentro la truffa, dentro un’altra truffa

Vi ho detto che anche ne I pirati dell’oceano rosso c’è una matriosca di furti architettati dai nostri Bastardi, ma la faccenda è un po’ più complicata di così. Il fatto è che, come al solito, a Lynch non piace seguire il naturale scorrere del tempo. E dunque, ci trascina avanti e indietro per due anni circa, mostrandoci spesso prima gli effetti di una parte di truffa e poi come ci siamo arrivati.

Il punto centrale del gioco resta però uno: il furto a Peccapicco, ovvero quello che dovrebbe rendere Locke e Jean così ricchi da non aver più bisogno di rubare per tutto il resto delle loro vite (come si ci credessimo, comunque…)

Intorno, Lynch costruisce la sua rete di intrighi, che come nel primo volume è controllata dai Bastardi solo in parte. La politica infatti li travolge anche qui, in modo però alquanto più stringente. Al furto al casinò si aggiunge dunque la missione “vivamente suggerita” dall’Arconte di Tal Verrar, alla quale si aggiunge la contromossa dei Bastardi, alla quale si aggiunge la controcontromossa dell’Arconte e così via. In un gioco di incastri così fitto che ci aspetteremmo di veder sfuggire qualche maglia qui e lì.

Scott Lynch si rivela però ancora una volta perfettamente in grado di tenere la trama dentro i binari, e anche se a volte questa serie di incastri finisce per diluire un po’ troppo il ritmo, nessun dettaglio sembra svincolare dal suo controllo. E se non è un prestigiatore lui, allora non saprei proprio dire chi lo sia.

Requin e Selendri
Requin e la sua seconda Selendri, art by aiconx | Recensione I pirati dell’oceano rosso

Meno chiacchiere, più azione

C’è una cosa, però, che ho apprezzato sopra tutto il resto. Il fatto che Lynch abbia smesso di blaterale. So che è un po’ cattiva, come cosa da dire, ma siamo onesti: nel primo volume lo perdevamo proprio.

Bella eh, Camorr, per carità. Una città splendida, una Venezia mista a New York, mista a quello che volete voi, con queste torri pazzesche, questi ponti di Vetrantico scintillanti sotto la Falsaluce e questi canali decorati da resti di uomini sbranati dagli squali e così via.

Ma ogni tanto, il nostro Cicerone si perdeva. Partiva proprio per la tangente, e noi restavamo lì, a bocca semi-aperta, travolti da quel fiume in piena di descrizioni e parole, parole e parole delle quali forse non sentivamo del tutto il bisogno.

Qui la cosa migliora notevolmente. Ancora si sente un po’ che al nostro Lynch piace ascoltarsi, ma un po’ di autostima la possiamo anche accettare. Almeno però non ci perdiamo in un marasma di termini inventati che diluiscono solo il nostro gusto per la storia.

Unica cosa che contraddice il mio discorso: il Lessico pratico del marinaio saggio con numerosi esempi illuminanti di storie vere, ma almeno, come vi dicevo, Lynch si è divertito a inventarsi storpiature personali per i normali termini marinareschi, e l’effetto è comunque quasi interessante.

Grazie, Lynch, te ne siamo pluridannatamente grati. Ora, per il prossimo giro, avremmo solo un’ultima richiesta: potresti, di grazia, mostrarci questa dannata Sabetha? Sai com’è, ce la stai sventolando davanti al naso da due volumi, iniziamo ad essere leggermente curiosi.

Solo leggermente eh, appena appena.

divisore

Qualche nota finale su I pirati dell’oceano rosso

Niente, meglio se chiudiamo qui questa recensione, perché alla fine ho blaterato troppo anche io. A mia discolpa posso dire che è colpa di Lynch, mi ha contagiata con i suoi sproloqui. Spero, in ogni caso, che questa recensione de I pirati dell’oceano rosso sia stata di vostro gradimento, e che abbia reso omaggio al nostro sacro Benefattore.

Come sempre, io ringrazio la Mondadori per avermi fornito una copia in anteprima del volume per potervene parlare a così poca distanza dall’uscita. E ne approfitto per invitarvi a fare un salto sui blog delle altre ragazze che partecipano a questo viaggio nel mondo di Locke e dei suoi. Le trovate riassunte nell’immagine in evidenza.

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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.

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