Fumetti, Recensioni

Recensione The fiction di Curt Pires, David Rubin e Michael Garland




In tanti anni di lettura di fumetti, c’è una debolezza che non sono mai riuscita ad eliminare, una caratteristica del mio essere lettrice che ancora oggi influisce profondamente sulla scelta e l’apprezzamento di nuovo letture a fumetti: il bisogno di storie ben disegnate.
Ebbene si, faccio parte della schiera delle vittime dei disegni e soprattutto dei colori: davanti ad una nuova lettura illustrata, la prima barriera che devo superare per potergli dare una chance è quella visiva; posso trovarmi davanti una delle storie più profonde, vibranti, intense mai scritte, ma se questa è disegnata male allora è estremamente difficile che io riesca ad immergermi.
Di contro, storie ben più banali e magari meno intense, hanno grandissime possibilità di attrarmi se hanno un comparto visivo accattivante ed emozionante.
Riconosco che spesso questa debolezza mi porta a dare possibilità a storie poco valide solo perché ben disegnate, ma al tempo stesso non riesco a trascendere questo strumento narrativo dall’importanza che ha in esso la componente visiva.
Un fumetto è un media molto diverso da un libro, capace di arrivare al lettore camminando su due piani perpendicolari, sviluppati insieme, che procedono strettamente collegati mantenendo però la propria identità individuale. Storia e immagini. Quando si sceglie di raccontare qualcosa attraverso un fumetto, si sceglie di affidare il proprio messaggio anche alle immagini, rendendole non solo personaggi del proprio intento, ma vere e proprie protagoniste. Che siano realizzate a matita, a china, a carboncino, in bianco e nero o colorate ad acquerello, a tinta, in digitale, sono loro il vero e proprio soggetto. Esse non sono solo un ornamento, bensì sono i binari su cui scorre la storia.
Per questo trovo così difficile accettare una splendida storia raccontata attraverso immagini brutte, imprecise, poco curate, dimenticabili. È un po’ come scrivere una canzone con un testo emozionante ma accompagnato da un unico accordo ripetuto, monotonamente per tutta la sua durata. Come assistere ad una danza meravigliosa, ballata su una musica cacofonica.

E per questo, di contro, trovo così facile affidarmi ad una nuova storia quando si presenta brillante e vibrante nei suoi disegni e soprattutto nei suoi colori. Come dicevo, ci sono state volte in cui questa debolezza mi ha portata a leggere storie del tutto dimenticabili. Ma per fortuna ci sono state tante, tantissime volte in cui si è rivelata provvidenziale.
The fiction è uno di questi ultimi casi. Semi-nascosto su un pienissimo scaffale della biblioteca, del tutto sconosciuto ai miei occhi, questo volume ha colpito il mio sguardo proprio per i suoi colori: un misto di giallo, rosso e blu che quasi si prendeva gioco delle tinte smorte dei suoi vicini di scaffale. Non sono riuscita a resistergli, l’ho estratto dalla sua piccola nicchia e la bellezza della sua copertina mi ha travolta, in tutto il suo splendore. L’ho trovata così evocativa da scegliere di prenderlo in prestito senza neanche leggerne la trama. Dirigendomi verso il banco-prestiti, ho sfogliato qualche pagina, imbattendomi in alcune tavole che non hanno fatto che confermare le mie impressioni sulla potenza espressiva di quelle immagini (ne trovate un esempio poco più sotto).
Incantata dal suo aspetto, mi sono lasciata travolgere dalla storia che raccontava, entrando nel mondo creato da Pires e rappresentato da Rubin e Garland come se lo avesse veramente davanti, come fosse reale e non solo illustrato. E il suo racconto si è rivelato intenso, emozionante, avvolgente, proprio come prometteva la copertina.
Ho conosciuto i quattro ragazzi protagonisti, Max, Kassie, Tyler e Tsang, e con loro ho conosciuto il mondo misterioso e oscuro, attraente e pericoloso della fantasia. Mi sono immersa in una storia di amicizia, fedeltà, paure e coraggio, in una ricerca di se stessi, una lotta contro la parte più oscura di noi. un inno all’amore e alla vita, cantato non solo con le parole, ma soprattutto con la musica dei disegni.
Pires e Rubin, e Garland e i suoi inchiostri, hanno creato una poesia visiva e narrativa unica, breve ma sorprendentemente intensa, che difficilmente dimenticherò presto.
È stata una sorpresa imbattermi così casualmente in una storia tanto capace di catturarmi, ma forse è stata ancora più piacevole proprio perché non era prevista: perché mi sono lasciata tentare da quei colori vibranti, e ho lasciato che quella che per molti sarebbe una debolezza diventasse una porta verso storie intense ed imprevedibili. Perché in fondo la lettura è fin troppo simile alla vita, che non è mai tanto intensa quando lasciamo che ci travolga inaspettata.



Trama:
Anni fa, quattro bambini scoprirono una scatola di strani volumi che avevano il potere di trasportarli all’interno di bellissimi mondi immaginari. Durante il viaggio, però, uno di loro sparì fra quelle pagine e non venne più ritrovato. Oggi che i bambini sono cresciuti custodendo quel terribile segreto, un altro di loro scompare e tocca ai due rimasti, Max e Kassie, riprendere i propri libri impolverati per cercarlo e affrontare infine la realtà attraverso la narrazione.

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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.

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