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Recensione Vendetta al palazzo di giada da Dale Furutani


“Lo scopo della pratica è trascendere la tecnica ed elevare le mosse al regno della creazione e dell’arte”

Quale frase più adatta da estrapolare per rendere l’anima di un romanzo come Vendetta al palazzo di giada, se non una che rispecchia in modo così puntale l’anima stessa della filosofia dell’arte dei samurai?
Dico arte, ben consapevole di star parlando di una filosofia, quella del bushido, mirata principalmente e sostanzialmente ad uccidere un altro essere umano nel modo più pratico e rapido possibile; eppure è inevitabile darle quella sfumatura che può solo rientrare nel campo dell’arte, soprattutto dopo aver letto un romanzo come questo di Dale Furutami.
Ci troviamo nel Giappone del 1600, a seguire le gesta di un ronin che incarna in sé tutte le virtù della casta dei samurai: precisione, disciplina, onore, coraggio, Matsuyama Kaze è questo ma non solo; è anche un esteta, un uomo abituato ed educato a godere della bellezza del mondo, a considerare il suo addestramento come una forma d’arte e di creazione, un’espressione della meraviglia del mondo in cui agisce. E la guerra allora? sorge spontaneo chiedersi; per Kaze non è che una follia, una sciagura derivante da menti poco in grado di assaporare la bellezza naturale, deboli con bisogni materiali come i soldi, o la brama di potere, sentimenti che non trovano spazio nel cuore di un vero samurai. E lui lo è in ogni poro della sua pelle, e continua a sentirsi tale anche quando il suo signore cade facendo di lui un ronin, un guerriero senza padrone, ma con un compito da cui dipende il suo stesso onore che gli impedisce di porre fine alla sua vita come si converrebbe nella sua situazione.

Della sua vita apprendiamo poche cose all’inizio di questo romanzo, soprattutto se come è capitato a me lo si legge per primo, non considerandolo il secondo volume di una serie di tre; pochi frammenti della sua esistenza prima di diventare Matsuyama Kaze, nome scelto per sfuggire alle persecuzioni dei suoi nemici, sono tutto ciò che comprendiamo ad inizio lettura, eppure questo ronin riesce in breve tempo a calarci nella sua filosofia, spingendoci ad archiviare ogni preconcetto sulla figura del samurai guerriero per iniziare ad esplorarne il lato più poetico e romantico. Così lo vediamo continuamente in cammino, strenuamente alla ricerca di una bambina perduta, ma pronto a farsi scudo contro le ingiustizie e i sopprusi. È proprio rimediando ad uno di questi torti che conosce Hishigawa, un mercante discendente da una nobile famiglia di samurai ormai decaduta, che vive a Kamakura insieme ad una misteriosa e bellissima moglie, per la quale ha fatto costruire un incredibile palazzo di giada nei suoi giardini. Eppure qualcosa di strano e poco piacevole aleggia attorno a questo codardo mercante, qualcosa che sembra avere a che fare con la bellissima moglie e con alcuni bizzarri personaggi che Kaze aveva già incontrato lungo il suo cammino.
Così il romanzo si evolve presto in un giallo a tinte orientali, reso però ricco, vitale, intrigante dalla filosofia che permanea questa cultura e soprattutto il coraggioso ronin. Gli indizi si rivelano ai nostri occhi lentamente, e nella lettura quasi sbaidiscono perdendo importanza, offuscati dalla perizia con la quale Furutani analizza la cultura dei samurai e il loro codice di condotta, il bushido. Nei combattimenti come nella creazione delle spade, o nei gesti di preghiera e meditazione, emergono un arte e una cura quasi maniacale del dettaglio, una spinta alla perfezione e all’estetica suprema rintracciabile in ogni gesto, in ogni parola, in ogni riflessione.
Più che per l’intreccio narrativo, questo libro sa colpire per l’attenta analisi di una società affascinante, permeata di contemplazione, osservazione e strenua ricerca della perfezione.
Elementi che rendono questo secondo volume non solo ottimamente godibile di per se stesso ma anzi, invogliano al recupero dei suoi compagni per poter assaporare ancora quell’atmosfera così seducente e ammaliante.
A permettere che l’incanto avvenga è lo stile di Furutami, un flusso dolce e melodioso di descrizioni che fluttuano morbide e leggere tra le pagine, e di dialoghi brevi ed evocativi, impregnati di riferimenti culturali e citazioni alla filosofia shintoista e alla religione buddhista.
Il risultato finale è un piccolo e scorrevole gioiello della narrativa detta di genere che pare quasi lottare per svincolare dalla rigida classificazione che gli verrebbe fatta. Un ulteriore voce che si alza per rammentare al lettore che non è ciò di cui parli a renderti più o meno interessante, più o meno di valore, ma è quanto sei capace di infrangere e ricreare i confini dentro i quali sei confinato.

Sebbene il primo volume, Agguato all’incrocio, sia facilmente reperibile nelle librerie online, lo stesso non si può dire del terzo, A morte lo shogun, ormai presumibilmente fuori catalogo e non disponibile nei distributori che sono riuscita a contattare.
Nell’attesa e nella speranza che venga ristampato e distribuito, recupererò sicuramente almeno il romanzo di apertura della serie, non solo per conoscere nuovi frammenti della storia e della personalità di Kaze, ma soprattutto per poter rigustare quell’incanto che le parole di Furutani sono riuscite ad evocare in Vendetta al palazzo di giada.


Trama:
Donne, eserciti, mercanti: la celebre Tokaido, che congiunge Kyoto con l’antica Tokyo, è un palcoscenico straordinario. I banditi tendono un agguato al mercante Hishigawa e Matsuyama Kaze, il samurai che sta setacciando il Giappone in cerca di una bambina scomparsa, lo salva e accetta di scortarlo fino alla sua dimora di Kamakura. Il palazzo del mercante è sontuoso, ma Kaze è in allarme. Troppi sguardi perfidi, ragazze che sembrano cortigiane, occhi che spiano nell’ombra. E perché mai Yuchan, la splendida moglie su cui Hishigawa aveva tanto favoleggiato in viaggio, vive praticamente in clausura in un palazzo di giada?

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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.

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