Racconti, Storie da GdR

Metereopatia

A cena terminata, Quin andò in camera a preparare la borsa. Prese dall’armadio la sua veste buona, quella bianca con i risvolti dorati cuciti a mano dalla madre, un paio di stivali alti al ginocchio e una fascia bianca, e mise tutto sulla scrivania. Un cambio di vestiti, un paio di scarpe basse e il suo diario andarono invece nello zaino, insieme alle matite, alla spazzola e allo specchio.

Seduta sul letto, guardò le sue poche cose, poi la piccola stanza che aveva accolto i suoi sogni di bambina. Tutto stava per cambiare e la terra stessa pareva tremare sotto i suoi piedi scalzi. Prese un profondo respiro, poi un altro e un altro ancora, dominando l’ansia come le aveva insegnato il padre. “Andrà tutto bene” si disse. 

Incrociò le gambe e ripeté quelle parole nella mente, facendole diventare un mantra. Quando riaprì gli occhi, si sentì pronta ad andare a letto e a lasciare che il tempo facesse il suo corso.

Solo quando si fu svestita e infilata sotto le coperte ruvide, le tornò a galla il pensiero che l’aveva ossessionata tutta la giornata: “E se domani ci sarà un sole raggiante?” Il meteorologo del villaggio aveva previsto una giornata nuvolosa ma senza pioggia, Quin però non si fidava più di tanto. Sapeva per esperienza che il vecchietto sbagliava più previsioni di quante ne azzeccava, e il funerale dello zio Beryl era stata solo l’ultima delle occasioni imbarazzanti in cui si era ritrovata a causa delle sue previsioni. Anziché con la pioggia, il giorno del funerale si era aperto con un sole sgargiante e un caldo tremendo; tutti nel tempio vestivano il blu, volti contemplativi e tendenti al malinconico, lei era arrivata con indosso un giallo sgargiante, pronta alla ridarella e allo scherzo, e la madre era stata costretta a trascinarla via affinché la cerimonia potesse continuare. Un’esperienza orribile.

Nella mente di Quin si susseguirono scene catastrofiche dell’indomani, momenti della cerimonia in cui arrivava come in preda a una Risata incontenibile di Tasha, e ogni cosa andava a rotoli. Riprese a respirare profondamente, dominando il terrore con intrecci di parole e invocazioni alle divinità. Funzionò. Scivolò nel sonno senza quasi accorgersene, dimentica di ogni preoccupazione.

Quando si svegliò la mattina dopo, vide che fuori dalla finestra pioveva. Una profonda tristezza si impadronì di lei, uno stato d’animo che sarebbe stato perfetto per il funerale dello zio Beryl. Peccato che non fosse quella l’occasione alla quale doveva attendere. Scivolò fuori dalle coperte cercando di ripetersi che in fin dei conti non andava troppo male, tristezza era meglio di insana allegria, ma riuscì a consolarsi solo in parte. Le veniva da piangere, e sentiva gli occhi arrossarsi nello sforzo di trattenere le lacrime. Passò davanti allo specchio e questo le restituì un riflesso azzurro spento, del colore dei corpi appena abbandonati dalla vita.

Al suo ingresso in cucina, alla madre bastò uno sguardo per capire. «Oh no…» disse, lanciando un’occhiata al marito in cerca di supporto. Il padre di Quin si alzò dalla tavola e le andrò incontro con un sorriso e tutto in lui riecheggiava il verde delle messi appena rinate, l’allegria mite degli alberi in boccio. La madre poi era stupenda, brillava del rosa dei ciliegi in fiore, i petali le piovevano come una cascata dai capelli color clorofilla. Quin si sentì morire dentro.

«Andrà tutto bene» le disse il padre, e perfino la sua voce sapeva del miele tipico dello Sbocciare, dolce e vellutato come solo i millefiori sanno essere. Questa volta il mantra non riuscì ad alleviare il disequilibrio nel quale Quin stava precipitando. Le lacrime superarono le barriere e colarono giù dalle guance, ghiacciate come la neve nel periodo del profondo Cadere.

«Su su, avanti» continuò il padre, stringendola forte tra le braccia. «Una volta completata la cerimonia sarai in grado di dominarlo. Vedrai…»

Il pianto di Quin non si attenuò e il padre continuò ad abbracciarla, finché la voce della madre, anch’essa morbida e accogliente, non li interruppe. «Tesoro, è ora.»

Il padre si staccò e le fece una carezza, raccogliendo le ultime lacrime fredde sul dito. «Vai a cambiarti. E confida in Nielyr, ti presterà la sua luce.»

Quin annuì e tornò in camera, evitando di guardarsi allo specchio. Indossò la veste e gli stivali, poi intrecciò i capelli. Sua madre entrò in quel momento, tra le mani teneva una coppa colma di fiori raccolti dal giardino.

«Madre, i tuoi unguenti…» provò a obiettare Quin, ma lei scosse il capo. «Troveremo il modo» disse solo, e la aiutò a fissare i fiori tra i capelli, intrecciandoli come se nascessero spontanei da quella chioma altrimenti azzurra e fredda.

Quin indossò la fascia bianca in vita e la madre le sorrise. «Non vedo l’ora di scoprire di quale colore sarà» disse. La accarezzò un’ultima volta e uscì, lasciandola sola per gli ultimi preparativi.

Quin cadde in ginocchio davanti alla finestra, lo sguardo perso nel cielo grigio e nella pioggia che non cessava di scendere. Riprese a piangere qualche istante, poi dentro di sé trovò un briciolo di forza e pose un fermo alle lacrime. “Ti prego, non lasciare che la mia incapacità rovini questa giornata” mormorò, e non sapeva se fosse una preghiera a Rielia che danzava fuori dalla finestra o a sé stessa.

***

Il luogo della cerimonia si trovava al centro del villaggio, nell’edificio più antico e più caro agli abitanti. Erano tutti già riuniti lì, seduti intorno al cerchio sacro con le loro sfumature vivaci, che riproducevano i mille volti della natura in boccio.

Quin spiccava, nel suo azzurro glaciale, e neanche i fiori riuscivano a mimetizzarla in mezzo a quella folla che indossava verdi e rosa, gialli tenui e violetti allegri. La giovane si fece forza e sfilò in mezzo alla folla, cercando di non badare agli sguardi ora sorpresi ora dispiaciuti dei suoi concittadini.

Arrivò al cerchio e prese posto a gambe incrociate accanto agli altri, salutando con un cenno gli adepti che conosceva e ricevendo occhiate di empatia e compassione. Il pensiero fisso del suo aspetto stonato la colmò per tutta la cerimonia, tanto che molte delle parole dei sacerdoti non arrivarono fino a lei. Fu solo quando il sommo sacerdote pronunciò il suo nome che si riscosse.

«Quinquirell Sargwyn, fatti avanti» declamò l’anziano, e lei si alzò tremante, sentendo su di sé gli sguardi dell’intero villaggio. Avanzò fino al centro del cerchio e si fermò davanti al sommo e agli altri sacerdoti, unica azzurra in un mare di verdi in boccio. 

«Giuri di servire il credo con tutta te stessa?» chiese il sacerdote, e tutte le preoccupazioni sul suo aspetto svanirono dalla mente di Quin, risucchiate dalle parole del rito.

«Lo giuro.»

«Giuri di essere fedele alla Fonte qualunque sia la sua scelta?»

«Lo giuro.»

«Allora vieni avanti.»

I sacerdoti si mossero di lato, lasciando lei e il sommo soli al centro del cerchio. L’uomo, la cui fronte era percorsa di ramificazioni in fiore, le sorrise e si spostò a sua volta per darle accesso alla Fonte. Quin avanzò fino a trovarsi davanti al liquido verde che turbinava nella piccola vasca d’argento.

«Ora specchiati e scopri il tuo destino» disse il sommo, e Quin obbedì.

Il liquido vorticò e cambiò colore, attraversando tutto lo spettro delle possibilità accessibili agli Eladrin. Quin svuotò la mente e trattenne il fiato, sapendo dal suo addestramento che non poteva imporsi sulla scelta, doveva confidare nella Fonte e lasciare che le rivelasse chi era.

Finalmente, il liquido si fermò e la vista di Quin fu colmata da un campo d’azzurro. Per un momento temette che fossero lacrime tornate a invadere il suo volto, ma non c’era gelo in quella carezza, solo un grande senso di accoglienza e di appartenenza.

«Rielia» mormorò, intravedendo per un attimo il viso della creatrice della vita.

Il sommo sacerdote colse le sue parole ed esclamò: «La fonte ha scelto. Quinquirell Sargwyn è ora una figlia di Rielia.»

Un coro di applausi si levò dalla stanza. Due sacerdoti si avvicinarono per slacciare la fascia dalla vita di Quin e la intinsero nella Fonte, estraendola sfumata d’azzurro. Gliela porsero e Quin se la riallacciò, quando si volse per cercare i genitori vide che padre e madre la osservavano dal margine del cerchio con i volti luminosi e fieri. I sacerdoti si avvicinarono l’un l’altro e il loro mormorio mise nuovamente a tacere la folla, che si sporse curiosa in attesa.

«È deciso» disse infine il sommo sacerdote, e Quin slegò lo sguardo dai quello dei suoi per rivolgersi verso l’uomo. «Il tuo cammino continuerà ad Aerobya. Che le acque ti proteggano.»

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Ho scritto questo racconto per calarmi nei panni della PG che gioco attualmente a D&D 5e. Quin è nata in un giorno di pioggia, nel quale mi sentivo più malinconica e meteropatica del solito. Possiede questo aspetto di me, accentuato e reso un elemento narrativo sul quale intrecciare storie e vicissitudini. L’ho trovata simpatica fin dal primo momento in cui ho pensato a lei.

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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.

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