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Dune: quando la paura svanisce, restiamo solo noi

È sempre strano e intenso tornare su questi lidi dopo un lungo periodo di pausa. Quando poi la pausa è, prima di tutto, una pausa interiore dalla normalità e dall’ordinario, Chiacchiere Letterarie costituisce sempre il primo passo verso la ripresa. Un rincontrarmi dopo la tempesta, sotto tutti gli strati di paura e stordimento. Come direbbe lo stesso Frank Herbert nel suo Dune, “quando la paura sarà andata, resterò solo io.” Il che significa, nel mio caso, riscoperta delle radici, di quelle tante piccole cose quotidiane che ritrovo sempre qui ad attendermi dopo ogni passaggio di tempesta.

Dune, come potrete immaginare, è arrivato in un momento di forte cambiamento e riflessione interiore. E forse proprio perché ero in questa fase ho sentito come mie alcune delle riflessioni di Herbert sul tempo, sulla paura e sul pericolo costituito dalla brama di conoscere il futuro. Il viaggio di Paul Atreides, pur nella sua differenza di epicità e di scopo, è stato in parte simile al mio recente viaggio. E forse non esisteva attimo più perfetto di questo per avventurarmi su Arrakis, pianeta estremamente duro e spietato ma capace di forgiare una persona come pochi altri.

Ciò che Dune ha rappresentato per me è difficile da esprimere a parole. Proverò lo stesso a cercare quelle giuste, perché se c’è una cosa che mi ha insegnato Chiacchiere Letterarie, negli anni, è che scrivere dei propri pensieri è uno degli strumenti più potenti per conoscere se stessi. E per ritrovarsi, quando ci si sente ancora un po’ smarriti.

Dune Herbert

Trama

Arrakis, anche noto come Dune, è un pianeta desertico nel quale l’acqua è il bene più prezioso. Quasi più del mélange, la materia prima più ambita del pianeta, oggetto della brama dell’Imperatore, della Gilda e dei molteplici altri attori in scena nel vasto universo conosciuto. Tra questi, il Duca Leto Atreides è stato scelto dall’Imperatore come nuovo governatore di Arrakis. Dietro questa nomina apparentemente vantaggiosa, però, c’è una grande rete di trame e piani oscuri destinata a coinvolgere non solo il Duca, ma anche la sua concubina Bene Gesserit Jessica e il giovane figlio Paul.

La dura realtà di Arrakis, le lotte intestine per la spezia e per la sopravvivenza combattute dagli abitanti di Dune noti come Fremen e la crescita di Paul Atreides da futuro Duca a Muad’dib (guida spirituale e politica) sono solo le tematiche più superficiali di una storia che cela al suo interno profonde e lucide dissertazioni sulla natura delle guerre, del potere e dell’umanità stessa. Dune è infatti un chiaro esempio di romanzo fantascientifico che fa del genere uno strumento, per parlare dell’uomo e delle sue molteplici e spesso insondabili complessità.

La forza di un racconto come Dune

Cosa c’è di tanto speciale e accattivante in una storia come questa? Al primo sguardo, la struttura creata da Frank Herbert per il primo romanzo del ciclo di Dune non è né originale né incredibile. È il tipico viaggio dell’eroe, il percorso di un giovane che attraverso le vicissitudini del fato diventa uomo. Ma c’è un motivo se questo particolare archetipo è tanto usato: risuona internamente in quasi ogni lettore. Tutti, d’altronde, ci siamo trovati almeno una volta in una fase di cambiamento, di passaggio e di crescita, e non solo quella naturale e fisica. Parliamo di quei momenti della vita nei quali ci troviamo inevitabilmente davanti allo specchio, a fare i conti con chi siamo e con ciò che desideriamo dal nostro futuro.

In questo, Paul Atreides è il miglior compagno di cammino che potremmo incontrare. Il suo essere fin dal principio un predestinato, un ragazzo diverso dal resto dell’umanità che fatica ad accettare la realtà per quella che è, è una caratteristica nella quale possiamo riconoscerci, trovare noi stessi. E se una volta giunto su Arrakis il suo percorso diventa quello del futuro eroe, guida spirituale e militare di un popolo strettamente connesso al mondo in cui vive, possiamo comunque trovare ancora in lui delle sfumature che parlano al bambino che continua a risiedere in noi. Quello che è sempre alla disperata ricerca di sé stesso e del suo posto nel mondo.

Paul Atreides
Paul Atreides, illustrazione di Chezka Sunit

La convinzione di poter controllare il domani

Il peso del futuro che Paul sente gravare su di sé, la voglia di sondarlo ed esaminarlo e al contempo la paura di sapere troppo e dunque di influenzarlo, di dirigerlo in una direzione sgradita, è metafora del nostro istintivo terrore per il domani. E più siamo preda delle tempeste del tempo, degli sconvolgimenti della vita, più le riflessioni di Herbert risuonano in noi come familiari e benefiche. Chi siamo noi, d’altronde, se non minuscoli esseri preda delle bizzarrie e dei capricci del tempo? Convinti di poter controllare il domani, di poterlo prevedere e direzionare, eppure in fin dei conti nulla più che marionette tra le sue dita.

In questo, il protagonista di Dune e molti dei suoi comprimari sono dei potenti alleati. Se perfino le Bene Gesserit – sorelle esoteriche che manipolano le discendenze e tessono trame invisibili per dominare il futuro – a un certo punto sono costrette ad ammettere che il tempo è inafferrabile, e che gli esseri umani ne controlleranno sempre solo una minuscola frazione, non siamo forse tutti invitati a rivalutare le nostre convinzioni e le nostre paure?

L’essere umano più potente dell’universo sarà sempre anch’esso preda dei turbamenti del tempo. Potrà forse prevederne qualche risvolto, ma nulla potrà fare per impedire che scorra nella direzione in cui è destino che scorra.

Dune
“Non devo aver paura. La paura uccide la mente”. Mantra Bene Gesserit

Il domino sulla paura

Una volta venuti a patti con la consapevolezza che non si può controllare il domani, non resta che impegnarsi a vivere il presente al pieno delle proprie possibilità. Imparando a dominare in primis se stessi, le proprie debolezze e soprattutto le proprie paure. Citando direttamente Herbert in uno dei passi più celebri di Dune:

Non devo avere paura. La paura uccide la mente. La paura è la piccola morte che porta con sé l’annullamento totale. Guarderò in faccia la mia paura. Permetterò che mi calpesti e mi attraversi. E quando sarà passata, aprirò il mio occhio interiore e ne scruterò il percorso. Là dove andrà la paura non ci sarà più nulla. Soltanto io ci sarò.

Il mantra delle Bene Gesserit che Jessica insegna al figlio è leitmotiv di tutto il romanzo. E ne racchiude, secondo me, anche il senso più profondo e vibrante. Solo una volta vinta la paura, la mente può finalmente operare libera da condizionamenti. E anche se con grande probabilità non arriverà mai a cambiare il futuro, potrà però imparare a cavalcarlo e a lenirne gli inevitabili effetti. Solo privati della paura, gli esseri umani possono infatti dirsi liberi. E una volta liberi, possono accedere a una vita piena e degna di essere vissuta anche se il futuro rimane per loro inafferrabile.

La spinta del potere e della religione

Accanto alle riflessioni sul futuro e sulla paura, in Dune ne emergono altre altrettanto profonde sui concetti di potere e di religione; e su come entrambi, strettamente legati all’essere umano, ne forgiano spesso inevitabilmente il cammino. Nel suo ruolo di Muad’dib, di Kwisatz Haderach, di prescelto e di benedetto dal destino, Paul resta infatti comunque schiavo del destino umano, che segue strettamente questi due concetti. Il potere politico e quello religioso, d’altronde, sono alla base della sua stessa esistenza di leggenda vivente.

Anche opponendosi ad essi, Paul ne segue il corso. La brama umana di violenza, qui rappresentata dal jihad che il giovane Duca Atreides vuole a tutti i costi evitare, non è qualcosa che si può controllare davvero. Per Herbert, la violenza sembra essere parte intima di noi, inevitabile conseguenza della nostra imperfetta umanità.

Jessica e Chani
Jessica e Chani (futura compagna di Paul Atreides), illustrazione di Chezka Sunit

Gli ideali di Dune

Quale speranza resta, dunque, tra queste pagine che appiano così nutrite di spietato realismo e di una vena di nichilismo? Resta l’umanità, a mio dire, in tutta la sua stupefacente imperfezione. Dai Fremen alle Bene Gesserit, dalla Gilda alle Grandi Case, ogni essere umano in Dune coltiva una sua speranza personale. E anche se molte di queste sono destinate ad infrangersi contro la cruda realtà, non per questo se ne apprezza meno l’intrinseco valore.

Un’ottima rappresentazione di questo concetto è l’aspirazione dei Fremen a lottare per rendere Arrakis un mondo abitabile. Anche davanti a un deserto sconfinato, privo di acqua e nel quale nulla sembra in grado di crescere, gli esseri umani non vogliono arrendersi. Una lacrima alla volta, una stilla alla volta raccolgono ogni umidità possibile per creare un futuro che loro stessi non potranno mai vedere, e forse nemmeno i loro figli e i figli dei loro figli. Ma è un futuro per il quale ha comunque senso combattere, perché in fin dei conti è l’ideale stesso a contare, più che il vero e proprio raggiungimento dell’obiettivo.

Alla fine di tutto, la speranza è negli esseri umani che popolano l’universo di Dune. Che fanno di tutto, nella loro imperfetta umanità, per destreggiarsi attraverso le spire impietose del destino. Qualche volta, come nel caso dei Fremen, riuscendo a costruire una comunità ricca, profonda e intensamente viva in nome di quel comune e forse irrealizzabile ideale. E nonostante tutta la brama di potere e di violenza della quale sono intrinsecamente schiavi.

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Il primo volume della saga di Dune è uscito nel 1965. Il Ciclo completo comprende:

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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.

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