Chiacchiere d'Inchiostro, Racconti, Scrittura

Grigio tempesta: un racconto di Chiara Babeli

Questo racconto fa parte della terza call di Chiacchiere d’Inchiostro, dedicata alla settimana più oscura e terrificante dell’anno. Il progetto è pensato per dare spazio e visibilità alle voci degli autori emergenti. Per sapere come funziona e come partecipare al progetto, vi rimandiamo all’articolo di presentazione.

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Tutto era cominciato per colpa di quella vecchia malefica, ora ne era sicuro.

Andrea si svegliò quella mattina madido di sudore. Nell’alzarsi dal letto si sentì la testa pesante e le gambe tremolanti come dopo una sbornia impegnativa. Si riempì una tazza di caffè fino all’orlo e rimase in attesa dell’effetto benefico che quel caldo liquido scuro avrebbe avuto sul suo corpo. Effetto che però non arrivò. 

La sera, tornato a casa dall’ufficio, era ancora tramortito e si buttò a letto senza nemmeno cenare, sperando a quel punto nel potere lenitivo del sonno. Ma durante tutta la notte non fece altro che correre in lungo e in largo, in fuga da una presenza diabolica che non voleva lasciarlo in pace. La mattina seguente era ancora più stanco di quando si era coricato.

Dopo una settimana di notti caratterizzate da incubi, arrivò la febbre. 

Andrea dovette rimanere a casa in malattia e rimandare alcuni appuntamenti di lavoro molto importanti che aspettava da tempo.

«Maledizione!» imprecò tra sé e sé, rigirandosi tra le lenzuola fradice. «Vorrei sapere cosa diavolo mi sono preso questa volta…»

Andrea viveva da solo in un monolocale al quarto piano di un edificio in centro città. Nonostante abitasse lì da alcuni anni, non aveva la più pallida idea di chi fossero gli altri condomini, perciò rimase chiuso nel suo appartamento, ingoiando qualche aspirina di tanto in tanto, finché dopo cinque giorni la febbre finalmente se ne andò. 

Sfruttò il weekend per risistemare casa e soprattutto per cambiare l’aria malsana che stava impregnando le pareti, ma anche per riprendersi fisicamente: aveva due occhiaie da far spavento persino a uno zombie.

Il lunedì mattina era pronto per tornare finalmente in ufficio e riprendere in mano il lavoro da dove l’aveva lasciato Aveva fissato un appuntamento con un cliente che aveva già dovuto rimandare più volte e, se avesse dovuto posticipare ulteriormente, lo avrebbe perduto di sicuro. Si studiò allo specchio per qualche minuto, la camicia beige ben stirata gli dava quell’aspetto professionale di cui tanto andava fiero. Era pronto.

Stavano già parlando da più di un’ora e il cliente ormai aveva messo ben in chiaro quelle che erano le sue necessità, quando Andrea avvertì una sensazione strana in bocca. 

Dapprima era solo un sapore ferroso. “Ma mi sono morsicato la lingua?” pensò. Poi qualcosa di grumoso gli si intromise sotto la lingua… eppure non aveva mangiato più nulla dopo che si era lavato i denti. Iniziò lentamente a muovere la lingua all’interno della cavità orale, alla scoperta di cosa fosse successo. 

Nel frattempo, il cliente continuava a parlare ma le sue parole non godevano più dell’attenzione di Andrea, nonostante questi annuisse ripetutamente. Non si azzardava ad aprire la bocca per parlare, temeva che quella presenza estranea potesse uscire fuori incontrollata. Non sapeva come comportarsi finché la fortuna non venne in suo aiuto. Il telefono del cliente iniziò a squillare e non appena egli rispose, Andrea ne approfittò per fiondarsi in bagno. Sputò nel lavandino una poltiglia rosea, un misto di sangue e… denti! 

Si erano sbriciolati, come fossero grissini. I molari non c’erano più. Con le dita in bocca e lo sguardo allo specchio si controllò da tutte le angolazioni. Non c’era alcun dubbio, quei denti non esistevano più.

Iniziò a sudare copiosamente, si sciacquò il viso e cercò di respirare il più profondamente possibile per calmarsi. “Ma come è possibile?! E adesso?”

Non era il momento giusto per stare a fare delle congetture, doveva assolutamente tornare di là e chiudere il contratto. Si sarebbe occupato di quell’assurdità la sera. Così, tanto fu preso dai suoi affari durante tutta la giornata che quasi se ne dimenticò. 

Una volta a casa tirò fuori una pizza dal congelatore e la mise a scaldare in forno. Apparecchiò sommariamente la tavola e prima che la pizza fosse pronta si fece una bella doccia calda. Fu in quel momento, aprendo la bocca sotto il getto dell’acqua, che si ricordò dei suoi denti. Di nuovo si mise ad esplorare con la lingua la spazio interno ma non gli sembrò di percepire nulla di strano. Più confuso che mai, ispezionò minuziosamente di fronte allo specchio il suo cavo orale, per la seconda volta durante quel giorno, ma i molari erano proprio lì, dove erano sempre stati.

Non sapeva che pensare. Si era immaginato tutto? Aveva avuto le allucinazioni? Impossibile. 

Si mise a tavola abbastanza perplesso ma pronto a sorvolare sull’accaduto, dando la colpa alla febbre della settimana precedente e al mix di medicine e birra che aveva buttato giù.  

Accesa la TV sulla serie poliziesca del momento, addentò il primo spicchio di pizza. Proprio mentre la mascella si riavvicinava al palato, gli incisivi e i canini si frantumarono. Andrea si alzò di scatto e sputò tutto nel lavandino. Questa volta li vide bene pezzettini bianchi che parevano ghiaia, e più sputava più ne uscivano, appena cercava di avvicinare le due arcate dentarie sentiva che altri denti seguivano la sorte dei primi. Cercava di non ingoiare nulla e allo stesso tempo gli erano saliti i conati del vomito. Agitato più che mai, qualche gocciolina gli andò di traverso e nel tossire quella sostanza raccapricciante gli uscì anche dal naso. Non poteva essere un’illusione, era troppo reale!

Andrea cercò il telefono disperato, questa volta doveva chiamare qualcuno: la guardia medica, un dentista, il 118… fece il numero di emergenza perché non era in grado di effettuare nessuna ricerca, ma non appena risposero le sue parole si ridussero a dei lamenti sconfusionati.

«Pronto? Qual è la sua emergenza?»

«Mmnnpppaaa…»

«Come scusi?»

«Aaaiuooo!» 

«Ripeta per favore, la linea è disturbata.»

«Aiuuuuuoo!!!!»

«Senta, provi a richiamare.»

“Come a richiamare? Ma che di numero di emergenza è?!” pensò Andrea lanciando il telefono dall’altra parte della stanza. Nel cercare di dire quelle poche parole aveva sparso sangue e rimasugli di denti per tutto il pavimento. Istintivamente si attaccò alla bottiglia di birra ma non appena deglutì il primo sorso, quello che aveva ingerito spinse violentemente per risalire insieme ai succhi gastrici e sparpagliarsi sulla tavola.

Doveva calmarsi, ripulirsi, uscire di casa anche se stava piovendo a dirotto, e andare al pronto soccorso. Era l’unica soluzione.

Prese l’auto e guidò a tutta velocità nonostante la pessima visibilità, ma fortunatamente non c’era traffico quella sera. Quando arrivò davanti all’ingresso ospedaliero però, fu sorpreso nel vedere che era tutto transennato e completamente privo di illuminazione. Chiuso. Il pronto soccorso era chiuso. “Non ci credo…”

Stava ancora fissando le porte scorrevoli dell’edificio di fronte a lui quando un tonfo potentissimo lo fece sobbalzare. Qualcosa di incredibilmente grosso e nero era caduto sul cofano della sua auto.  

Andrea rimase pietrificato, non aveva il coraggio di scendere per verificare cosa diavolo fosse quella cosa e così si limitò ad avvicinare il più possibile il naso al parabrezza. Sembrava un ammasso di carne gelatinosa gigantesco, non aveva mai visto nulla di simile, e mentre continuava ad osservarlo sotto l’incalzare della pioggia, gli occhi della creatura si spalancarono rivelando due sfere nere, due buchi neri pronti a risucchiare l’anima.

Andrea non riuscì a trattenere un urlo di terrore, infilò la retromarcia e pestò sull’acceleratore, in quel modo l’essere caduto sul cofano rotolò in strada. Col respiro corto fece inversione il più velocemente possibile, controllò lo specchietto retrovisore per assicurasi che quella cosa fosse rimasta là a terra e invece la vide alzarsi lentamente rivolgendosi verso la sua auto. In tutta risposta diede ancora più gas, ma spostando lo sguardo in avanti si accorse di avere di fronte un’altra creatura simile a quella da cui stava scappando… o era sempre la stessa? Decise di aumentare ancora di più la velocità per investirla e andare oltre ma l’auto, in seguito all’impatto violento, venne bloccata facendo scattare l’airbag. Tramortito, aprendo gli occhi Andrea si accorse di avere centrato un palo della luce.

La mattina seguente si svegliò nel suo letto. Sentiva un pizzicore al braccio sinistro. Ancora imbambolato dal sonno spostò lo sguardo in quella direzione e un grido di orrore e disperazione gli uscì dalla gola. Quel mostro nero gli aveva arrotolato uno dei suoi tentacoli attorno al braccio e con la bocca gli stava sfilando la pelle, creando delle lunghe e sottili strisce di carne che poi succhiava avidamente. Lo stava letteralmente spellando. 

Svenne all’istante per poi risvegliarsi nuovamente.

Il suo braccio era integro come era sempre stato, nessuna creatura mostruosa nel suo letto e i suoi denti… erano dove dovevano essere, tutti. Dunque era stato solo un incubo? O era un sogno quello in cui si trovava adesso? Andrea non ci capiva più niente: nonostante l’incredulità di quei fatti era stato tutto talmente reale che non poteva essere solo frutto della sua mente.

Si diresse in bagno pensieroso e fu in quel momento che, con la coda dell’occhio, si accorse di quella presenza scura. Chiuse la porta a chiave e indietreggiò spaventato.  

«Sono solo allucinazioni… è tutta un’allucinazione…» 

Ma quella specie di polipo gigante sfondò la porta e lo spinse sul pavimento. Le ventose dei grossi tentacoli gli bucarono il petto, tenendolo schiacciato a terra, mentre altri innumerevoli tentacoli gli si infilavano in ogni dove. Uno gli aprì prepotentemente la bocca e si infilò giù per l’esofago in cerca di chissà cosa, altri più sottili si infilarono nelle narici e nelle orecchie e li sentì muoversi sotto la sua faccia fino ad arrivare al cervello.  

Andrea non faceva altro che dimenarsi, reso muto non riusciva nemmeno ad urlare, mentre gli era impossibile chiudere gli occhi. Incollati a quello sguardo infernale, si erano persi in quell’abisso nero. Quando sarebbe finita quella tortura? 

Poi, dopo un tempo incalcolabile, la luce tornò e con essa tutti i colori. La porta era ancora chiusa e non c’era alcuna traccia del mostro. Ormai però non si fidava più di quello che vedeva, e la conferma la ebbe quando si alzò e vide la sua immagine riflessa allo specchio. Il suo viso non era come lo conosceva e soprattutto gli occhi… quelli non erano per nulla i suoi. Si fermò a fissare quel grigio tempesta finché non si ricordò dove li avesse già visti. Quella donna… 

Erano trascorse alcune settimane da quando l’aveva incontrata fuori dalla porta del suo ufficio, la mano tesa in avanti a chiedere qualche spicciolo. Andrea era di fretta come al solito, e l’ultima cosa che avrebbe voluto in quel momento era litigare con una vagabonda che gli chiedeva l’elemosina, sbarrandogli la strada. Cercò immediatamente di scansarla facendole dei gesti con le mani ma guardandosi bene dal toccarla, infilò una serie di “no” senza nemmeno ascoltare quello che diceva. Parlava forse italiano? Non era importante e non si prese la briga di cercare di scoprirlo. 

Dopo alcuni minuti in cui la sua voce si era alzata a dismisura, riuscendo così a coprire le parole incomprensibili della donna, Andrea si aprì un pertugio e spinse spazientito la porta del suo ufficio, entrando finalmente all’interno.  

Quella donna sulla settantina, dai lunghi capelli grigi e spettinati, non aveva smesso un secondo di recitare la sua litania e continuava a cercare il suo sguardo, anche ora che un vetro li separava. I suoi occhi, freddi e grigi come una tempesta in arrivo, si incollarono alla porta finché lui non si girò, degnandola di uno sguardo. Solo in quel momento le labbra della vagabonda smisero di muoversi, le palpebre rimasero ferme per alcuni istanti, finché quel corpo ostinato non abbandonò la sua posizione.

Nel momento in cui i loro sguardi si incontrarono, Andrea venne scosso da un brivido, ma fu una cosa talmente veloce che quasi non se ne accorse. Lui non le sopportava proprio quelle lì, provava fastidio solo a vederle da lontano, figuriamoci quando gli attaccavano pezza. Comunque era passata e per tutto il giorno non ci pensò più.

Quella notte però, non aveva fatto altro che sognare quegli occhi tempestosi che lo inseguivano ovunque. Lui scappava, correva per la città cercando di sfuggire a quello sguardo diabolico ma nessun nascondiglio era sicuro. Appena si credeva in salvo, la minaccia si ripresentava e lui doveva ricominciare a correre più veloce che poteva.

«Allora sei tu! Cos’è, una specie di stregoneria questa?»

Andrea stava ancora urlando quando con un pugno frantumò lo specchio. 

«Brutta stronza, devi lasciarmi stare, hai capito?! Vattene da casa mia!»

A quel punto la creatura misteriosa si rivelò di nuovo alle sue spalle e allargò i suoi lunghi tentacoli,  quasi volesse abbracciarlo. Il ragazzo raccolse velocemente una scheggia dello specchio e come se fosse un pugnale iniziò a sferrare colpi a quella presenza demoniaca che ora però pareva priva di consistenza, tanto i suoi movimenti cadevano nel vuoto. 

Sentì una risata, provenire dalla cucina. Nudo e con quel frammento tagliente, stretto nella mano sanguinante, andò in quella direzione. 

«Dai, fatti vedere! Ti piace farmi impazzire, vero?! Ma adesso ti sistemo io, una volta per tutte…»

La risata continuava ad aleggiare nella stanza, eppure non si vedeva nessuno. 

Andrea si mise a strappare le tende, a buttare a terra le sedie e qualsiasi cosa gli fosse d’intralcio, sferzava colpi che non incontravano nulla finché la creatura nera non gli si presentò di nuovo alle spalle. I tentacoli viscidi e potenti lo cinsero ancora una volta e iniziarono a stringere sempre più forte. Le gambe, il tronco, il collo, le braccia… Andrea era immobilizzato, ma aveva ancora il frammento di vetro in mano. 

Con un movimento prima del polso e poi dell’avambraccio, riuscì ad affondare la scheggia nella carne gelatinosa più vicina.

«Sì! Prendi questo!»

Era riuscito a colpirlo, perché la sua arma si era sporcata di sangue. Carico di adrenalina, non si fermò un istante e seguitò a colpire il mostro che persisteva a tenerlo stretto. Il suo braccio infatti aveva un raggio d’azione sufficiente a raggiungere alcuni punti in cui penetrare nella carne. Squarciò i tentacoli che gli cingevano la pancia, la coscia destra, il petto e perfino il collo. Li aprì con tutta la violenza di cui era capace, senza rendersi conto che quelle ferite non le stava infliggendo a nessun altro se non a sé stesso.  

Seguitò nella lotta finché la creatura maligna non mollò finalmente la presa, svanendo come un’ombra fuori dalla finestra.

Andrea allora si accasciò a terra, esausto, nel lago del suo stesso sangue. 

«Tanto… è solo un incubo… o no?»

Editing a cura di Marco Garinei

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Qualche nota sull’autrice

Chiara Babeli vive a Prignano sulla Secchia, un piccolo paese alle pendici dell’Appennino modenese, dove ha ambientato i racconti del suo primo libro “Il tempo degli uomini”, edizioni Epika. Con una laurea specialistica in Storia Contemporanea, questa materia è la sua principale passione e fonte d’ispirazione per i suoi progetti letterari, ma allo stesso tempo ama scrivere racconti di vario genere su una piattaforma online.

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