Fantasy e Fantascienza, Recensioni

Oltre il genere: La mano sinistra del buio di Ursula K. Le Guin

Come sarebbe il mondo se non esistessero differenze di genere? Quali dei paradigmi che conosciamo salterebbero, se si decostruisse questo elemento fondante della nostra cultura moderna?

Sono alcune delle domande da cui parte Ursula K. Le Guin nel suo rivoluzionario La mano sinistra del buio, romanzo fantascientifico del 1969.

Vale la pena innanzitutto soffermarsi sulla data di pubblicazione, perché è significativa: il ’68 è appena passato e il mondo occidentale è ancora nel pieno del tumulto creato dai movimenti giovanili. Accanto alle proteste di studenti e operai che denunciano capitalismo e oppressione si levano le voci della seconda ondata del femminismo. Nel 1963 era uscito La mistica della femminilità di Betty Friedan, libro che denunciava la volontà politica e mediatica di confinare le donne americane (quelli bianche e borghesi, è giusto precisarlo) al ruolo di mogli e di madri, rifacendosi agli studi sulle divisioni di genere inaugurati da Il secondo sesso di Simone De Beauvoir (1949). Qualche anno dopo, in Europa e in America le donne si separano dai movimenti studenteschi e operai e cominciano a scendere in piazza portando un’accesa critica alle istituzioni e alle pratiche patriarcali, denunciando la violenza e le disparità originate dal dislivello di potere tra uomini e donne.

Nel 1970, in Italia escono i testi del collettivo femminista Rivolta femminile e nello stesso anno Shulamith Firestone pubblica La dialettica dei sessi. Autoritarismo maschile e società tardo capitalistica, libro in cui si immagina una “rivoluzione utopica nel rapporto tra i sessi attuabile in una società ad industrializzazione avanzata e cibernetica, in cui il corpo femminile può essere riscattato dalla sua naturale funzione procreativa dal processo di sviluppo della cultura volto a favore delle donne” (qui per saperne di più).

Genere e sesso sono al centro del dibattito pubblico, e i movimenti femministi portano all’attenzione mediatica la fallacia di un sistema binario basato – tra le altre cose – su una distinzione netta tra lavoro produttivo e lavoro riproduttivo.

Un libro politicamente situato

In questo contesto politico e culturale, Ursula K. Le Guin scrive il suo La mano sinistra del buio, immaginando un mondo lontano anni luce dal nostro nel quale le differenze sessuali e quelle di genere non esistono. Su Inverno, nome dato al misterioso pianeta perennemente ghiacciato dall’Inviato Genly Ai – voce narrante principale – le persone non nascono femmine o maschi: in loro convivono le potenzialità di entrambi i sessi e le funzioni biologiche si differenziano solo in determinati periodi, detti Kemmer, nei quali ogni persona può assumere alternativamente (e casualmente) il ruolo di inseminante o di gestante.

Su Inverno, il nostro intero immaginario culturale si disgrega: in una società in cui non c’è divisione di genere non sono neanche concepibili divisioni di ruoli binarie, non esistono la discriminazione e la violenza di genere. Le persone sono prima di tutto persone, non vengono identificate sulle base della loro biologia e delle loro funzioni fisiologiche. Tutte attraversano il Kemmer in certi periodi, e solo in questi momenti confinati provano pulsioni sessuali. Il resto della vita su Inverno è regolata dalla lotta alla sopravvivenza e dalla necessità costante di un avanzamento culturale e tecnologico che contrasti le dure condizioni climatiche, e questa assenza quasi totale di istinti sessuali si ripercute inevitabilmente sulla configurazione della società.

Illustrazione di Jacqueline Tam (fonte: The Newyorker)

Un mondo senza guerra

Su Inverno, l’umanità è divisa in tre continenti, marcati in alcuni punti dalla presenza di confini naturali. Le tre società che li abitano non sono mai state in guerra tra loro, perché in un mondo dove non esiste il genere maschile – e il portato di violenza culturale che lo accompagna – non può esistere nemmeno la guerra. Esistono le contese, esistono le faide e le battaglie localizzate perché l’umanità è sempre anche violenza, ma non la guerra in senso esteso. Nessuna persona di Inverno ha bisogno di dimostrare il proprio dominio fisico sulle altre, tutte vestono i panni di chi dà la vita e di chi la tutela in fasi diverse della propria esistenza.

Tra le prime cose con cui deve scontrarsi Genly Ai, ambasciatore di una confederazione di mondi avanzati nota come Ecumene, uomo cresciuto nelle differenze e divisioni di genere, è l’impossibilità di riportare al binarismo le persone che abitano Inverno. Il suo istinto, la sua educazione lo portano a tentare continuamente di etichettare le persone che incontra, di interpretare i loro gesti e i loro comportamenti sulla base degli schemi binari che conosce. Tecnica che si rivela però fallace e dannosa, che lo porta a fraintendere di continuo ciò che gli abitanti di Inverno sono ed esprimono e che lo precipita in una serie di disavventure quasi mortali.

Il rapporto con l’alterità

Il primo caso in cui lo vediamo sbagliare è nell’interpretazione del carattere di Therem Harth rem ir Estraven, persona vicina al re della nazione di Karhide in cui Genly approda in solitudine con la sua astronave. La missione dell’Inviato prevede che arrivi nel nuovo mondo da solo, disarmato e inoffensivo, portando con sé la proposta di alleanza dell’Ecumene e le promesse di scambio e collaborazione. Dotato di una tecnologia avanzata e di una fisiologia incomprensibile, Genly viene accolto in Karhide come una curiosità bizzarra, soprattutto perché considerato una persona perennemente in kemmer e dunque in qualche modo “deviata” e “pervertita”. Il pregiudizio è dunque reciproco, ma Genly non è in grado, almeno al principio, di notare la specularità della situazione.

Il suo pregiudizio nei confronti delle persone di Karhide e di Orgoreyn – l’altra nazione dominante di Inverno – lo spinge a fraintendere i consigli di cautela di Estraven e a mettere a repentaglio la sua vita e quella di Estraven stesso: le trattative di Genly con il re di Karhide falliscono, Estraven viene esiliato con l’accusa di tradimento e l’Inviato è costretto a spostarsi a Orgoreyn, venendo in contatto con una nuova cultura pronta a mostrarsi a sua volta ostile verso ciò che lui rappresenta.

Solo quando le situazioni si fanno critiche e Genly Ai è vicinissimo alla morte, finalmente le barriere dovute ai rispettivi pregiudizi si abbattono. Le pagine che raccontano il disperato viaggio di Estraven e Genly su Ghiaccio, luogo inospitale e durissimo, sono di una bellezza rara. Ursula K. Le Guin dà voce anche a Therem Harth rem ir Estraven, ci mostra il punto di vista dell’altro, e nella lotta primitiva per la sopravvivenza le loro differenze culturali si azzerano. Quando smettono di essere “umani”, di essere cultura e tradizioni per ridursi all’essenza di anime incarnate, diverse ma uguali tra loro e con il mondo che le circonda, Genly e Therem possono finalmente comprendersi e imparare a convivere, rispettarsi e perfino amarsi.

Alla fine del libro, diventa chiaro che le differenze sulle quali le nostre società si basano non sono che pallide illusioni umane; che la nostra umanità è uno schermo, una barriera che abbiamo innalzato per difenderci da ciò che non conosciamo. E che una volta sconfitta la paura dell’altro, una volta imparato a comunicare in maniera pura e profonda, possiamo finalmente ripensarci come creature capaci di vivere in equilibrio tra noi e con la realtà che ci circonda e ci accoglie.

Copertina interna dell’edizione illustrata americana del romanzo

Ciò che ci rende davvero umani

Al termine de La mano sinistra del buio ci si arriva con cuore e mente in tumulto. Al momento della sua uscita, questo romanzo deve aver provocato una scossa in moltissime persone: si cominciava allora a immaginare una società altra, libera dalle gabbie rigide del binarismo, dalla suddivisione netta di ruoli dovuta a una fallace pretesa biologica. Veder raccontare di un mondo così estraneo eppure così familiare, dove l’essere considerati umani non ha nulla a che fare con i paradigmi che abbiamo introiettato, dove non è il genere a definirci più o meno di valore, più o meno umani, deve essere stata un’esperienza potente e preziosa.

Per noi, eredi di questo momento storico e politico di messa in discussione non solo del binarismo ma del concetto stesso di “umano”, leggere questo romanzo oggi significa trovare una conferma che siamo sulla strada giusta, che un mondo diverso può esistere: Ursula K. Le Guin ci mostra in maniera magistrale come l’immaginazione possa essere la nostra più preziosa alleata nell’apertura di strade verso nuovi mondi.

E anche se questi mondi ci sembrano ancora lontani, se ancora servono anni luce per raggiungerli, almeno grazie a libri come questo sappiamo che sono lì, possibilità esistenti, e che ogni tentativo che faremo per spingerci in quella direzione non sarà che un nuovo passo nel nostro continuo tentativo di ridefinirci e capirci come creature umane situate e relazionali.

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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.

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