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Recensione: Il canto del ribelle di Joanne Harris


Chi non adora Loki, il dio dell’inganno, delle bugie, ma al tempo stesso dell’astuzia, dell’ingegno, della libertà?
Non posso dirmi un’esperta di mitologia norrena, le mie poche conoscenze derivano da una lettura non molto recente, Midgard. L’isola ai confini del mondo, e dai comics della Marvel. È stato quindi con parecchio entusiasmo e curiosità che ho richiesto la copia per poter leggere e recensirvi questo romanzo, che si è rivelata un’incredibile sorpresa.

Premessa: scordatevi gli eroi Marvel e la loro bontà. In questo libro troverete tutt’altro.
In primis, il Narratore unico, l’unico punto di vista, l’unica personalità di spicco, è Loki. Già dalla premessa e dalla presentazione dei personaggi capiamo che non ci troviamo davanti alla solita versione del mito norreno; questo è Lokabrenna, il canto di Loki, le sue parole, la sua interpretazione dei fatti. Filtrata dai suoi pensieri, la storia è molto particolare, e ripercorre tutto il periodo di vita di Asgard e dei suoi dei, come spiega Loki all’inizio, dal “Che sia fatta luce” al Ragnaròk.
Il nostro dio Burlone ci conquista da subito per il suo spirito, il suo ingegno, la sua arguzia: davanti al suo giudizio inesorabile nessun dio è risparmiato, neanche il saggio Odino. Loki è il fuoco, la libertà, la discordia, la mente; come non apprezzare quindi un racconto descritto interamente da lui? Qualunque situazione, qualunque avventura, filtrata dal suo punto di vista appare più divertente, più colorata, più viva. E non riusciamo quasi a staccarci dalle pagine, preda di quell’incanto, di quell’inganno, che il Burlone ha tessuto per noi.
Le avventure che il nostro Narratore ci descrive, sono le stesse raccontate dai miti norreni, a volte ribaltate, a volte riviste per adattarle al protagonista, ma sempre molto coerenti e facilmente ritrovabili nei canti antichi.
Lo stile è fluente, leggero, adatto ad una narrazione in prima persona quasi colloquiale; Loki ha un linguaggio schietto e pungente, in perfetto accordo con la sua personalità.
Il libro è diviso in sezioni, o per meglio dire sottolibri, e ognuno di questi apre un momento particolare della storia, collegato alla Profezia dell’Oracolo; sono tutti decorati con decorazioni in stile vichingo, e in ognuno risalta il brano della profezia ad esso collegato. L’effetto è proprio quello di tenere in mano un canto, il canto di Loki, la Lokabrenna appunto.

Che dire, The Gospel of Loki, Il canto del ribelle, mi ha conquistata; ha iniziato piano, quasi di nascosto, e a poco a poco mi ha rapita tra le sue spire, trascinandomi in questa ambientazione così divina e al tempo stesso così umana. L’ho letto quasi tutto d’un fiato, accompagnata dalla capacità dell’autrice di rendere le frasi intrecci avvolgenti e attraenti, quasi poetici e spesso indimenticabili.

Ve ne riporto uno che mi ha colpita particolarmente, quasi in apertura del romanzo:

“Ma è così che le religioni e le storie si fanno strada nel mondo, non con battaglie e conquiste, ma con poemi, kenning e canzoni, tramandati fra le generazioni e messi per iscritto da studiosi e scrivani. Ed è così che, circa cinquecento anni dopo, una nuova religione con il suo nuovo dio è venuta a soppiantarci: non attraverso una guerra, ma tramite libri, storie e parole. In fondo, le parole sono quanto rimane quando tutte le azioni sono state compiute.
Le parole possono distruggere la fede, dare inizio a una guerra, cambiare il corso della storia. Un racconto può far battere più forte il cuore, far crollare i muri, scalare le montagne- ehi, una storia può addiritura resuscitare i morti. Ed è per questo che il Re delle Storie ha finito per essere il Re degli dei: perché solo l’ampiezza di una pagina separa lo scrivere la storia dal fare la storia.”

Vi ho un po’ incuriositi su questo romanzo? Spero vivamente di si, ma se queste parole non vi avessero catturato, forse lo farà scoprire qualcosa di più su come è nato questo libro.
Joanne Harris nel suo sito racconta di essere appassionata di mitologia norrena fin da bambina, e di aver cullato dentro di sé per quarant’anni questa storia; in parte questa passione deriva dalle sue radici, che affondano nello Yorkshire, una regione dalla forte influenza vichinga. Perché ha scelto Loki come narratore? È molto semplice, come ci spiega lei stessa, perché non può esserci dio migliore per comunicare con degli umani, del dio più ambiguo, più schietto, più simile agli umani che esista. Fin troppo semplice e banale parlare della perfezione divina, della bontà assoluta, della gioia e della luce. Ben più entusiasmante raccontare delle debolezze, degli errori, dei periodi bui delle divinità; un bel modo di sentirle vicine, di apprezzarle a pieno.
Nel suo romanzo, la Harris ha ripreso il mito originale, arricchendolo dello spirito del suo protagonista, rendendolo reale, facendoci affezzionare a lui e alle sue avventure. L’effetto finale, è che non riusciamo a condannare le sue azioni totalmente in nessuna parte del romanzo; il suo comportamento è spesso tutt’altro che perfetto, ma nella sua imperfezione è spesso perdonabile e comprensibile.
Altra nota dell’autrice verte sulla fedeltà del suo romanzo al mito; a suo dire, circa il 75% del romanzo è fedele ai canti antichi, mentre il resto è frutto di una sua personale reinterpretazione. La profezia, che viene distribuita tra le sezioni del romanzo, è una sua traduzione dall’originale Völuspá, e alla fine del romanzo è possibile leggere interamente la parte che l’autrice ha tradotto e utilizzato.
Una curiosità molto interessante è che Il canto del ribelle (nell’originale, The Gospel of Loki), è una sorta di prequel ad un’altra serie dell’autrice, i cui due romanzi, Le parole segrete (Runemarks – 2007) e Le parole di Luce (Runelight – 2011), sono usciti qualche anno fa anche in Italia, sempre per la Garzanti.
Inutile dire che la sottoscritta non vedo l’ora di poterli leggere.

Come sempre, ringrazio la Garzanti per avermi permesso di leggere questo romanzo.
Vi lascio qui sotto alcuni link interessanti al sito della scrittrice dove potete trovare le curiosità che vi ho riportato e qualche altra nota sul romanzo, specialmente sul linguaggio adottato:

The Gospel of Loki background
A reader’s guide
The language of Loki

Trama:
Per Loki, il dio delle fiamme, intelligente, affascinante, ingannatore, spiritoso, l’accoglienza ad Asgard non è delle migliori. Nella città dorata che s’innalza nel cielo in fondo al Ponte dell’Arcobaleno, dove vivono le donne e gli uomini che si sono proclamati dèi, tutti diffidano di lui, che ha nelle vene il sangue dei demoni. Malgrado la protezione di Odino, Loki ad Asgard continua a non essere amato: quello è il regno della perfezione, dell’ordine, della legge imposta. Entrare definitivamente nella schiera delle divinità più importanti, per lui, è impossibile: non solo gli viene impedito, è la sua stessa natura ribelle a impedirglielo.
Ma arriva il momento della sua riscossa. Il mondo delle divinità è agli sgoccioli, una profezia ne ha proclamato la fine imminente. E Loki potrà mettere le sue capacità al servizio di Asgard e dei suoi abitanti. È lui che si adopera, con la sua astuzia, per trarre in salvo Thor e compagni. Ma gli dèi sono capricciosi, volubili e di certo non più leali di Loki. Adesso è giunta per lui l’ora di decidere da che parte stare, chi difendere e contro chi muovere battaglia. E di scoprire se i suoi poteri e la sua astuzia possono davvero salvarlo dalla fine che minaccia i Mondi e le creature, umane e divine, che li abitano.
Joanne Harris ci porta nelle atmosfere piene di fascino della mitologia nordica: le divinità buone e cattive, i popoli in lotta tra loro, le forze oscure, le città fantastiche e le battaglie sanguinose. Protagonista assoluto è Loki, il dio temuto ed esiliato da tutti che cerca il suo riscatto: è lui a raccontarci la sua versione dei fatti, secondo una prospettiva diversa da quella che abbiamo conosciuto sin qui. Preparatevi a scoprire Odino, Thor e le altre divinità norrene come non li avete mai conosciuti.


9/10

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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.

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