Fantasy e Fantascienza, Recensioni

Recensione: Il sangue di Marklant di Miki Monticelli



Questo libro faceva parte del “pacchetto di benvenuto” della Piemme e come gli altri, non ne conoscevo né titolo né trama; l’ho scelto principalmente per la convinzione che si trattasse di un fantasy classico, genere del quale come sapete sono molto appassionata e devo dire che non ne sono rimasta per nulla delusa.
In realtà però mi viene difficile classificare Il Sangue di Marklant come un fantasy di stampo classico: in esso infatti non sono presenti particolari razze come elfi o nani, e non vi è alcuna forma di magia. In compenso però vi sono battaglie, leggende, avventure incredibili che lo fanno entrare di diritto nel fantasy più eroico anche se in una nicchia tutta sua.
Il romanzo si sviluppa quasi interamente tra le mura della città di Marca, una fortezza che separa il mondo umano dall’antica minaccia di una popolazione misteriosa e ormai quasi dimenticata. La protagonista principale è Drith, una markenn (abitante di Marca) davvero speciale, in grado di vedere i fantasmi di coloro che muoino. La sua abilità è in realtà considerata una maledizione nella città, ed è tenuta nascosta fin da quando è bambina.
Durante la lettura seguiamo la sua vita, dall’infanzia all’età adulta, e seppure l’attenzione resti spesso su di lei, abbiamo la possibilità di conoscere anche molti comprimari, sia all’interno di Marca, che in seguito all’esterno.
Il primo pregio del romanzo, è la caratterizzazione superba dei personaggi: ogni Markenn che incontriamo ha infatti dei dettagli fisici e soprattutto caratteriali che lo rendono molto verosimile e molto piacevole. Drith soprattutto è delineata come una personalità molto forte, determinata, intelligente e coraggiosa. È un’eroina del fantasy per eccellenza, che però mantiene i suoi tratti umani, con tutte le paure e le remore che si trascina dietro; coloro che la circondano vengono influenzati dalla sua personalità e in alcuni casi in modo irreversibile, cosa che rende il mondo tridimensionale e realistico.
A supporto di Drith e dei suoi comprimari, c’è una città studiata con minuzia e costruita con grande attenzione: Marca è una città in guerra da secoli su due fronti; da un lato, ha fermato per anni l’avanzata dei misteriosi Occlumsaac, mentre dall’altro è vittima degli attacchi dell’esercito delle Darkalant. La sua popolazione vive quindi da secoli in guerra, e cresce per questo scopo, senza distinzioni tra uomini e donne; il clima che respiriamo quindi dentro la città è un clima di costante tensione, privo di reale pace, privo di speranza o di sogni. Il lavoro dell’autrice su questo punto è impeccabile: riesce perfettamente a trasmettere la sensazione di oppressione nel suo lettore, che ha quasi l’impressione di entrare in un tunnel oscuro e privo di un’uscita, almeno nelle prime parti del romanzo. Lo stile narrativo è ben calibrato per seguire il ritmo degli eventi, ed in grado di rendere vivido e respirabile il clima di questo mondo.
Un altro merito della Monticelli, è quello di essere riuscita a combinare bene il medioevo fantasy con delle tinte steampunk. A Marca infatti si combatte non solo via terra, con arcieri e soldati, ma anche via cielo, con delle macchine che ricordano molto i progetti di Leonardo. L’effetto è molto piacevole, e le due componenti sono ben armonizzate, tanto che non crea fastidio vedere apparire armi e macchinari molto diversi da quelli ai quali siamo abituati, anzi riesce ad attrarre maggiormente l’attenzione del lettore.
Ultima ma non per importanza, ognuno di questi elementi è sostenuto da una trama davvero avvincente, ricca di risvolti e pieghe inaspettate, che si sposta su diversi temi e diverse atmosfere: da quelle più oscure e opprimenti dentro le mura, a quelle esaltanti dei voli sulle macchine, fino alle scene di guerra concitate e caotiche. Il filo conduttore è molto chiaro ma è difficilmente intuibile dalle prime pagine, come lo è anche la successione degli eventi, che spesso stupiscono per la loro imprevedibilità. Ovviamente questo non può che arricchire il romanzo, che resta così molto misterioso e avvincente; i fili della trama sono sbrogliati con quella frequenza capace di tenere gli occhi del lettore fissi sulle sue pagine fino alla fine.

Insomma, Il sangue di Marklant entra di diritto tra i migliori fantasy che io abbia letto per la sua particolarità, la sua capacità di catapultare il lettore in un universo così diverso eppure così realistico, e per l’interesse e l’emozione che riesce a far provare a chi lo legge.
Io ringrazio infinitamente la Piemme per questo invio inaspettato, che è stato apprezzato forse più di quanto ci si potesse aspettare.
Solo un appunto: l’età consigliata per il romanzo è dai quattordici anni, ma non fatevi scoraggiare da questa stima: sebbene infatti il libro non presenti problemi ai giovani lettori, a mio avviso è maggiormente godibile da un pubblico più adulto, che è più in grado di cogliere i sottili risvolti di trama, gli intrighi, gli accenni e le rivelazioni che sono il tocco di classe di questa avvincente storia.

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Trama:
Marca è sotto assedio da ormai quasi seicento anni: attorno alle alte mura che difendono le case si assiepa l’esercito delle Darkalant, da sempre nemico, e poco più in là, oltre le montagne, rimangono in agguato gli Occlumsaac, i non-vivi, che aspettano soltanto di poter entrare in città e possono contare sulla sfibrante e quieta pazienza della morte. Drith ha sempre vissuto schiacciata dal peso della guerra: è la figlia di uno degli uomini più importanti del regno e ha sempre saputo di essere una guerriera, pronta a difendere il suo popolo dall’attacco esterno. Ha un dono, o meglio una terribile condanna: riesce a vedere e parlare con i morti. E questo è il marchio che la identifica come prescelta della profezia dei Pugno, destinata a liberare la città di Marca, pagando un caro prezzo.


9/10

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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.

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