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La noiosa Torrepel

Salvia Repel è una giovane halfling ladra nata per una sessione di D&D 5e mai giocata. “La noiosa Torrepel”, il racconto che vi accingete a leggere è il primo di tre frammenti che ne narrano la storia prima della leggenda, o almeno prima di quella che sarebbe dovuta diventare leggenda. In questo primo brano, Salvia vive ancora a Torrepel, un piccolo villaggio di coltivatori di repe (e sì, avete letto bene, repe e non rape) dal quale vuole disperatamente fuggire.

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L’aria era afosa, stantia. Odorava di terra cotta dal sole, di polvere e soprattutto di rape. O meglio, di repe. Salvia storse il naso, mentre l’effluvio del bollito di repe della madre le risaliva su per le narici, annullando per un attimo il resto degli odori. Perfino a più di dieci passi dalla casa, quel tanfo la perseguitava.

Con uno sbuffo, la giovane halfling strappò un’altra manciata di pallide foglie di basilico e la buttò dentro il sacchetto. Nemmeno il loro odore dolciastro riuscì a coprire quello della zuppa, e Salvia sbuffò un’ennesima volta. 

«Odio questo posto» borbottò a denti stretti.

Dall’altra parte dell’orticello, Menta sollevò il capo dalle piantine. «Cosa?»

Salvia scosse la testa. «Niente, niente. Mi lamentavo del caldo.»

«Hai ragione, oggi è tremendo.» Fasciata nel suo leggero vestito in cotone, recentissimo regalo di Maggiorana, la sorella si asciugò la fronte e alzò il viso verso il sole, che incombeva in un cielo terso e privo di interesse. «Speriamo che si alzi un po’ di vento.»

«Ottima idea» mormorò Salvia, rovistando in cerca di qualche altra foglia non bruciata dal sole. «Così la puzza si sentirà ancora di più.»

«Come?» disse Menta, la testa di nuovo immersa nell’orticello.

«Ho detto che non vedo l’ora!» rispose Salvia, con un lungo sospiro finale. «Non vedo l’ora di andarmene da qui» aggiunse poi, tra sé e sé.

Menta questa volta non parve udirla. Finì di strappare foglioline dalle piante, si avvicinò e le allungò il suo sacchetto. «Se hai finito, porta anche questo a mamma. Vado a vedere se Balisio ha bisogno di aiuto.»

«Va bene» disse Salvia, evitando un altro sbuffo. 

Rientrò tra le quattro mura anguste di Casa Repel, trattenne il fiato e lanciò i sacchetti sul grosso tavolo in legno che incombeva al centro della sala. Dalla cucina, giungeva la cantilena allegra della madre.

«Fatto. Vado a fare una passeggiata!» urlò Salvia.

Viola si interruppe giusto il tempo per intimarle un: «Non tardare, è quasi pronto!» prima di riprendere la sua canzone. Salvia non rispose, sgattaiolò invece nel corridoio, corse in camera e acchiappò al volo la fionda e il sacco. Dismise i panni di Salvia Repel, noiosa figlia di noiosi coltivatori di repe, e indossò con entusiasmo quelli di Fearìa Gelsom, scaltra e intrepida eroina. Mentre usciva dalla stanza immaginando l’avventura che l’attendeva, Cipolla e Rosmarino le si pararono davanti, la prima con una grossa bambola di stoffa stretta tra le braccia, il secondo con una trottola di legno.

«Giochi con noi?» le chiese Cipolla. «Ti preeego» rincarò Rosmarino, con il naso che colava. Salvia li schivò entrambi con agilità.

«Non posso, vado di fretta» disse, prima di svanire lungo il corridoio. Se fosse rimasta un altro minuto, i due fratellini avrebbero trovato il modo di incastrarla con i loro giochi. O l’avrebbe fatto la madre, obbligandola a soffiare il naso di uno e allacciare il vestitino dell’altra.

 Ripassò rapida dalla sala, facendo attenzione a non far scricchiolare nessuna asse, e sgusciò fuori dalla porta un attimo prima che la grossa sagoma di Mirto spuntasse dalla siepe. Si rannicchiò al volo dietro il biancospino, gattonò oltre l’orto e fu fuori, sentendo montare la gioia di essere riuscita a schivare il fratello più noioso e l’ancor più noiosa zuppa di repe.

Non lasciò, però, che la gioia la facesse diventare avventata. Sempre rannicchiata, superò i campi dove lavoravano il padre e i fratelli e seguì la strada che portava fuori dal borgo. Solo quando in fondo al sentiero cominciò a intravedere il boschetto si alzò e riprese a correre, sicura che non avrebbe più incrociato un altro dei suoi troppo numerosi e troppo noiosi fratelli.

Intorno a lei, campi sconfinati di repe ovunque e quella piccola macchia di agognata libertà alla fine della via. Salvia saltellò e corse, corse e saltellò fino al limitare degli alberi. Lì si fermò qualche minuto per godere del fresco delle cime folte e cariche di semi. Appena sentì il sudore asciugarsi dalla fronte e il vestito scollarsi dalle gambe, lanciò un’ultima occhiata alla tenuta dei Repel, che spuntava banale e uguale a tutte le altre in mezzo alle distese di banalissime repe, fece una smorfia e si immerse nel bosco.

Venne accolta dal frinire delle cicale, dal rumoreggiare degli scoiattoli e dal fruscio invitante della brezza tra le foglie. Respirò a pieni polmoni quell’aria che, finalmente, sapeva di tutto fuorché di repe. Poi sorrise e continuò a camminare, scrutando il sottobosco in cerca di una preda soddisfacente.

Le ci volle una decina di minuti prima di individuare le tracce di quello che sembrava un grosso ratto. Esaltata, estrasse la fionda e caricò il sasso; poi, senza allontanare lo sguardo dalla tana improvvisata nel terreno, si mise in attesa, usando un cespuglio come copertura.

Altri cinque minuti, e finalmente il proprietario del rifugio spuntò fuori. Si guardò un po’ intorno, annusò l’aria e azzardò qualche passo sul terreno.

Rapida, Salvia fece ruotare la fionda e scagliò la pietra. Colpì il ratto dritto sul muso, mandandola a terra.

Con un profondo respiro, la giovane halfling si preparò alla parte più dura di quel lavoro. Si avvicinò al ratto, trattenne il moto di disgusto che già stava montando, gli afferrò il collo dai due lati e tirò, producendo solo un leggero spasmo privo di suono. La morte della piccola creatura le dispiacque, ma le venne subito in mente un detto molto adatto a quella situazione, che lo zio Fulvio amava spesso ripetere quando contava i soldi del commercio di repe: “la tua morte, la mia vita”. E quando si trattava di schivare l’ennesima zuppa di repe, Salvia era certa fosse davvero questione di vita e di morte.

Ammirò il topo grassoccio e si sentì fiera del suo operato. Lo infilò nella sacca, e si inoltrò ancor più a fondo nel boschetto, seguendo sentieri non tracciati che era certa di conoscere solo lei. Giunta alla sua radura, vide che il cerchio di pietre era ancora intonso, e che i rametti erano ancora tutti riposti ordinatamente a un lato.

Ne prese qualcuno, aggiunse delle foglie secche e accese il fuoco.

Un’ora dopo, stava gustando con piacere una stopposa ma terribilmente soddisfacente carne di ratto, sapendo che a casa Repel i sei fratelli e i genitori si contendevano mestolate di disgustosa zuppa di repe.

Rientrò a casa solo a metà pomeriggio, ancora sazia e soddisfatta del suo pranzo improvvisato, l’esaltazione della caccia aveva ormai lasciato il posto a una dolce e gradevole stanchezza. Prima di lasciare il bosco, si era premurata di raccogliere erbe e fiori in abbondanza, scegliendo quelli che, ne era certa, le sarebbero valsi un perdono più rapido da parte di Viola.

La madre la aspettava sotto la piccola veranda, le mani immerse in una bacinella piena di stracci, che galleggiavano in una poltiglia marrone scuro.

«Hai saltato di nuovo il pranzo» fu il suo unico saluto, pronunciato a testa bassa, le braccia che sfregavano con violenza gli stracci,

Salvia tossicchiò e allungo il sacco davanti a sé, un’offerta di pace. «Ti ho preso del tarassaco. E della borragine. E anche qualche drupa di biancospino, così fai la marmellata.» Sorrise, quando la madre sollevò il volto verso di lei.

Anche segnata dal sole, dal duro lavoro e dalla nascita di nove figli, Viola Repel rimaneva una donna molto bella. Dietro gli anni di fatiche si scorgeva ancora la giovane ragazza di città che aveva sposato il gentile e un po’ rozzo Porzio, trasferendosi con lui in mezzo al nulla di Torrepel. Come avesse fatto la madre a preferire quel borgo dimenticato dagli dèi alla capitale, per Salvia rimaneva un mistero.

Dopo diversi secondi di angosciante attesa, durante i quali la madre mantenne le sopracciglia corrugate in un moto di contrarietà, finalmente le Viola concesso un leggerissimo sorriso. «Hai preso anche un po’ di camomilla, rientrando?»

«Certo» disse Salvia, con un moto di sollievo. Punizione evitata.

«Bene. Lascia il sacco sul tavolo in cucina, arrivo tra un attimo.» Viola tornò agli stracci, e Salvia le passò accanto, saltellando. Arrivata alla porta, però, la voce della madre la bloccò.

«Ah, e a proposito…» Salvia si voltò in tempo per vederla risollevare la testa. «Sei in punizione. Passerai il tempo a pulire le repe per la cena.»

Una giovane ragazza di profilo, i capelli rossi le svolazzano indietro
Un possibile ritratto di Salvia Repel
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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.

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