Questo racconto è inserito nella terza call di Chiacchiere d’Inchiostro, dedicata alla settimana più oscura e terrificante dell’anno.
Il progetto è pensato per dare spazio e visibilità alle voci degli autori emergenti. Per sapere come funziona e come partecipare al progetto, vi rimandiamo all’articolo di presentazione.
P. si rese conto di dove si trovava ancora prima di aprire gli occhi. Quel lezzo intenso, vivo – lisoformio e alcol denaturato – che pareva insinuarsi strisciando su per le narici, era per il ragazzo inconfondibile; esso era indissolubilmente legato a un’inquietudine profonda, atavica, all’immagine di sé stesso bambino in preda a crisi di pianto incontrollabili, agli sguardi severi di sua madre e ai rimproveri di suo padre.
«Ben tornato fra noi, signor P.» disse il dottor C. L’uomo aveva una voce cavernosa e rassicurante che pareva riempire fisicamente il piccolo studio dentistico privo di finestre. Aveva superato la cinquantina ma era ancora un uomo affascinante, alto, dalle spalle larghe e il sorriso sornione;, si muoveva completamente a suo agio attorno alla vecchia poltrona reclinabile su cui stava sdraiato P., quasi danzando fra la cassettiera con gli strumenti da chirurgia, l’armadio in metallo e il piccolo lavandino.
«Se dovesse sentire un accenno di nausea, non si preoccupi signor P., è un effetto collaterale piuttosto frequente quando si inala del cloroformio. Percepirà anche una lieve pressione attorno all’indice della mano destra, non si preoccupi nemmeno per quello; è un pulsossimetro che le ho applicato per assicurarmi che il suo cuore non faccia scherzi durante le poche ore che avremo il piacere di trascorrere insieme.» Il dottor C. pronunciò l’ultima frase avvicinando il viso a quello di P. e rivolgendogli un ampio sorriso da venditore di auto usate.
P. aprì gli occhi. Un conato di vomito terribile, come un montante ben assestato appena sopra l’ombelico, sembrò attorcigliargli le budella; fiotti di saliva schiumosa gli riempivano la bocca colando in lunghi rigagnoli biancastri agli angoli delle labbra. Il ragazzo avrebbe voluto rannicchiarsi su sé stesso, provò a divincolarsi ma invano: i suoi polsi e le sue caviglie erano fissati con diversi strati di nastro adesivo alla vecchia poltrona reclinabile in pelle.
«Forse un po’ più di un accenno. La nausea, dico.» disse il dottor C. mentre usava un fazzoletto di carta per ripulire con un gesto preciso e delicato la saliva, raccoltasi in un unico grumo denso sul mento di P.
«Voglio andarmene.» riuscì a gracchiare P. con la voce arrochita, le parole che si arrampicavano a fatica lungo la gola.
«Andare? Ma signor P., è appena arrivato! Non ho nemmeno avuto modo di presentarmi: sono il Dottor C. Può chiamarmi solo C. O anche solo Doc. Ecco, Doc sarebbe perfetto: i miei pazienti più affezionati mi chiamano così.»
«Io non ho idea di chi lei sia, dottor C…»
«Doc, preferisco Doc» disse il medico, interrompendo il ragazzo e smettendo di sorridere per la prima volta da che P. si era risvegliato.
«D’accordo, d’accordo. Non ho idea di chi sia, Doc, ma qui ci dev’essere un equivoco, io non…»
«Ha ragione, sono davvero un gran maleducato» rispose il dottor C. interrompendo nuovamente il ragazzo. «Io so tutto su di lei e lei non mi conosce per nulla.» Il dottore avvicinò la seggiola con le rotelle alla poltrona e vi si accasciò sopra con un sospiro, incrociando le gambe l’una sull’altra.
«Dunque, da dove iniziare… beh per prima cosa l’avrà intuito, sono un odontoiatra. Un dentista, per dirla senza troppi fronzoli. Questo è uno dei miei studi, quello in cui ho iniziato. È vecchiotto, ma è ancora un gioiellino, funziona tutto, sa? E poi siamo in un paesino sperduto fra le colline, pace e tranquillità, nessuno che ci possa disturbare nel raggio di chilometri.»
«Doc, mi ascolti. Se questo è uno scherzo non è divertente per niente. È da quando sono bambino che ho il terrore del dentista.»
«Oh no, nessuno scherzo.»
«Allora mi spiega che cazzo ci faccio legato come una bestia alla sua poltrona?»
Il dottor C. si alzò dalla sedia senza fretta, si avvicinò al carrellino in acciaio posizionato dietro la poltrona, lo spinse in avanti, aggirando P. e piazzandosi a un metro da lui.
«Niente volgarità signor P., la prego. L’ho capita, sa? Lei è uno di quei pazienti che vuole sapere tutto prima di iniziare una seduta dal dentista, dico bene?»
«Cosa vuol dire “iniziare una seduta”?» domandò P. senza riuscire a nascondere un fremito nella voce.
Dunque signor P, andiamo con ordine» disse il dottor. C sollevando il telo celeste di TNT che copriva il pianale del carrellino, scoprendo una fila ordinata e scintillante di strumenti in acciaio chirurgico.
«Noi dentisti lottiamo ogni giorno perché la comunità scientifica smetta di considerarci dei medici di serie B, ma in fondo, parliamoci chiaro, siamo fieri di essere ancora un po’ dei barbieri, dei cavadenti. Anche gli strumenti che vede qui, signor P., pensa siano molto diversi da quelli che si usavano a inizio Novecento?»
P. aveva provato a mantenere la calma fino a quel momento, ma alla vista degli strumenti una nuova ondata di nausea, ancora più violenta della precedente, gli fece rivoltare lo stomaco.
«Questo strumentino che vede qui, ad esempio, si chiama sindesmotomo. È identico a quello che usava mio nonno nella sua bottega» disse il dottor. C, facendo scorrere a pochi centimetri dal viso di P. un attrezzo simile a un punteruolo da ghiaccio lungo una quindicina di centimetri. «Alcuni colleghi lo snobbano, sostengono sia inutile, io al contrario lo trovo indispensabile. Lo si afferra qui» disse il dottore indicando la zigrinatura sul manico a base esagonale. «Lo si posiziona parallelamente all’asse lungo del dente, e si fa penetrare la punta ben dentro la gengiva. Poi lo si muove con decisione in su e in giù, lungo tutta la circonferenza del dente.» L’uomo continuò, agitando lo strumento a mezz’aria: «Serve a recidere le fibre del legamento che tiene uniti gengiva e dente. Ha sentito bene, signor P., i denti hanno i legamenti, proprio come quelli del ginocchio o della spalla. E per cavare via un dente, le fibre del legamento vanno tagliuzzate ben bene.» Mentre parlava, il dentista appoggiò con cura il sindesmotomo al proprio posto sul tavolino d’acciaio.
«Doc, la prego, mi lasci andare…»
«Dunque, poi abbiamo… beh chiaro, le pinze» disse il dottor C. indicando con un ampio movimento della mano una decina di strumenti di forma e dimensioni diverse, adagiati ordinatamente sul carrellino. «Vede, a ogni gruppo di denti corrisponde una pinza diversa. Hanno una forma consona a rendere il più agevole possibile le manovre di estrazione dei denti. Abbiamo le pinze dritte coi becchi lisci per i denti anteriori, quelle angolate coi becchi a rostro per i molari, quelle per i premolari. E poi le leve. Dritte, curve a quarantacinque gradi, sottili, spesse. E per ogni gruppo di dente c’è un movimento corretto da effettuare, sa? Se si sbaglia movimento si rischia di fare un bel casino, di fratturare l’osso della mascella, tanto per dirne una. Non è per nulla piacevole signor P., glielo garantisco.»
«Doc, mi spieghi almeno il perché di tutto questo» disse P. con voce querula, senza più curarsi di nascondere le lacrime che gli rigavano ormai abbondantemente le guance.
«Perché, perché, perché. Ci sono così tanti perché in questa storiaccia. A quale vuole che risponda per primo, signor P.? Al perché sto per cavarle via i denti a uno a uno senza anestesia? O al perché le ho applicato il pulsossimetro per essere certo che il cuore non le scoppi nel petto per il dolore? O magari la sua è una domanda più elevata, filosofica forse? Ad esempio, perché alle brave persone succedono delle cose brutte o qualcosa di simile?»
«La prego Doc, la prego. Posso darle tutto quello che vuole, posso pagarla.» implorò P. con la voce spezzata dal pianto.
«Signor P., sta davvero cercando di guadagnarsi la libertà offrendo del denaro a un dentista?» chiese il dottor C. lasciandosi sfuggire una risatina sommessa.
«Si sta facendo tardi, signor P. Su, da bravo, apra grande.»
Editing a cura di Marco Garinei
Qualche nota sull’autore
Riccardo Lupi ha ventinove anni e vive appena fuori Milano. Liceo scientifico e poi sei anni di odontoiatria all’università: una decade abbondante in ambito scientifico e nonostante tutto si sente felice solo quando sfila i guanti e comincia a sfogliare un buon libro.